mercoledì 27 febbraio 2008

IL CAMPO DEI CARDI?







And now for something completely* different:

*mica tanto...


La vicenda del Kosovo mostra come l'Inghilterra tema la perdita del Regno Unito con il procedere dell'integrazione europea, e questo sia una delle cause, forse la principale, delle sue resistenze:

Kosovo could end Scotland’s European dream

By Simon JamesPublished: February 26 2008 17:59 Last updated: February 26 200817:59

Kosovo’s independence must have cheered Scotland’s nationalists. The birth of another, smaller state in Europe is, on the face of it, a distant but useful precedent for them. However, the diplomatic fallout over recognition of the newcomer has ominous implications for the separatists in minority government in Edinburgh. Half a dozen European Union states fear the example that is being set for ethnic minorities within their borders. If Scotland ever votes for independence these states could easily make an example of it by blocking Scottish membership of the EU. The opponents are vehement.

Cyprus, determined toavoid any example that might confer legitimacy on the self-proclaimed Turkish Republic of North Cyprus, denounced Kosovo’s declaration of independence as “a violation of the territorial integrity and sovereignty of Serbia”, which, Erato Kozakou-Marcoullis, the foreign minister, said “would set a dangerous precedent”. Feeling is equally strong in Slovakia and Romania, where ethnic Hungarians make up 10 per cent and 6 per cent of the population respectively. The parliaments of both countries rejected recognition of Kosovo by huge majorities. Some Slovak deputies openly accused their Hungarian compatriots of planning secession. As Traian Basescu, Romania’s president, bluntly told a Nato meeting, this is “a risky precedent ... what message are we sending to multi-ethnic societies or to others that are facing ethnic issues?”


Spain has better reasons for apprehension. Separatists in the Basque region, some of whom have now resumed violence, look openly to Kosovo (and Scotland) for encouragement. Other regions – Catalonia, Valencia, Galicia – are also pressing for greater autonomy. Spain, in a commendably communautaire spirit, spent most of 2007 pressing EU colleagues behind closed doors to brake Kosovo’s enthusiasm, but José Luis Rodríguez Zapatero, Spain’s prime minister, has now publicly joined the ranks of the opponents. All four countries have refused to recognise the new state and vetoed a common EU position .

Greece and Bulgaria, also sensitive about minorities, are withholding recognition for now and making worried noises about regional stability. Belgium, a fragile federation, agreed to recognition only afteran awkward cabinet wrangle. Scotland’s nationalists have always affected breezy insouciance about Europe, asserting that an independent Scotland would automatically remain an EU member state. Not necessarily. Legal analysis by University College London’s Constitution Unit suggests that Scotland would not automatically inherit membership. Nationalist lawyers rely on the Vienna Convention, designed to clarify post-colonial states’ adherence to treaties that their former masters had signed. But the convention is weak; only 21 countries have signed it, none of them major states, and only five from the EU.

Furthermore, the convention does not apply if it would radically alter the Treaty of Rome – which admitting Scotland to the EU must do, not least to give it voting rights in the Council of Ministers and European Parliament. The Scottish nationalists’ fallback is to argue that other EU states would never lock Scotland out. Most EU members, including probably the residual UK, would probably reason like that .

Yet this seriously underestimates thefear that runs through those countries that oppose Kosovo’s independence. Their motivation is nationalist and, like the Scottish National party, they put their nation first. Nationalism in the Balkans is a raw, visceral force that the milder political culture of western Europe easily underrates. If these countries think Scottish independence will encourage their separatists – and Basque leaders and Turkish Cypriots have openly hailed Kosovo as a precedent – blocking Scottish EU membership would be their only means of hindering it.

If a single EU member, let alone several, announces it will veto changes to the Treaty of Rome to accommodate a secessionist state, Scottish nationalism is powerless. This uncertainty could be cripplingly harmful to Scottish separatists. Half of Scotland’s trade is with the EU and “Scotland in Europe” is a centrepiece of separatist strategy.

As the debate on independence picks up, voters willseek reassurance that they will not be locked out on the doorstep. With the legal omens unhelpful, and a cluster of EU states looking hostile, Scotland’s famously canny voters may shy away from a game of Balkan roulette.

The writer is an honorary senior research fellow at the Constitution Unit at University College, London

Noto con sommo godimento che la Padania non è annoverata nell’articolo. Vi terrò aggiornati se qualcuno sarà capace di indirizzare una letterina all’Editor del FT ...

Guardiamo al futuro: va riaffermato il principio della corrispondenza fra quantità di popolazione e rappresentanti nel Parlamento Europeo, altrimenti nemmeno le istituzioni europee saranno più credibili.

In un'Europa allargata la ex Yugoslavia sarà il paese che alla fine avrà più deputati al Parlamento europeo?


Al di là della Notizia, di Ferdinando Riccardi: UE/Kosovo: il discorso ufficiale non dice tutta la verità

26 February 2008
(c) Agence Europe, Brussels 2008. All rights reserved.
AL DI LÀ DELLA NOTIZIA

L'UE è nel contempo unita e divisa. Nel caso del Kosovo, quello che non viene detto è almeno equivalente a quello che si dice. Le dichiarazioni ufficiali e i discorsi delle autorità mascherano gran parte della realtà. Il risultato è stato che vari mezzi d'informazione hanno presentato l'atteggiamento dell'UE da un unico punto di vista, mentre ce ne sono due. Erano possibili due presentazioni del suo atteggiamento, e ogni mezzo d'informazione ne ha privilegiato solo uno: o che l'UE si è spaccata in due parti, perché alcuni Stati riconoscono il Kosovo indipendente e altri no, oppure, che ha una posizione comune, grazie alla dichiarazione adottata all'unanimità e all'avvio dell'operazione europea di sostegno e di sorveglianza (Eulex). Entrambi questi aspetti sono veridici e in questa rubrica avevamo insistito sulla loro coesistenza (vedi EUROPE n.9605). Per Javier Solana, il bilancio europeo è nettamente positivo. Egli ha dichiarato: “collettivamente, l'UE, le sue istituzioni, hanno preso una decisione molto importante ed è ciò che l'UE doveva fare in quanto insieme”, mentre il riconoscimento di un nuovo Stato è di competenza di ogni singolo Stato membro. Stessa interpretazione, quella data dal presidente del Consiglio, Dimitrij Rupel: “l'UE è stata in grado di esprimersi con voce unica e di rimanere unita”. Secondo Bernard Kouchner, ministro degli esteri francese che era stato rappresentante dell'ONU in Kosovo dal 1999 al 2001, “non si puo' dire che gli europei siano divisi; è una grande vittoria dell'Europa”. Questa lettura maschera la divergenza sull'esistenza del nuovo Stato.
Posizioni nazionali comprensibili. Caso per caso, le posizioni dei diversi governi sono comprensibili. La posizione negativa più ferma, quella di Cipro, si spiega per la situazione sull'isola. La parte settentrionale di questa ha proclamato la propria indipendenza e, di fatto, si è separata sotto la protezione dell'esercito turco. Se adesso si ammette un'indipendenza autoproclamata, come dichiarare illecita e non avvenuta quella di Cipro? Vero è che l'ONU non riconosce la Repubblica turca di Cipro, ma neppure il Kosovo.
Gli altri Stati membri opposti o reticenti sono tutti confrontati a rivendicazioni interne di indipendenza o di autonomia. È vero che il Regno Unito è tra i paesi che hanno riconosciuto il Kosovo indipendente, ed ecco che, senza indugiare, in sessione plenaria del Parlamento europeo, l'eurodeputato scozzese Ian Hudghton ha dichiarato: “vorrei vedere la Scozia nell'UE in quanto nazione e non in quanto osservatore”.
Dibattito rivelatore. Il dibattito al PE ha mostrato che le affermazioni solenni sul carattere unico del caso del Kosovo, che non rimette in discussione il principio “della sovranità e dell'integrità territoriale degli Stati”, non sono condivise da tutti. Vero è che una netta maggioranza del Parlamento europeo, pur affermando che sarebbe stato preferibile uno statuto negoziato, ha ritenuto che si dovesse “accettare la nuova realtà” a due condizioni: il nuovo Stato dev'essere democratico e rispettare le minoranze, il suo avvenire e quello della Serbia sono nell'UE in quanto futuri Stati membri. Secondo questa maggioranza, l'atteggiamento serbo attuale non dev'essere drammatizzato: l'on. Neyts-Uyttebroeck ha ricordato che ci sono voluti nove anni perché i Paesi Bassi riconoscessero l'indipendenza del Belgio. Secondo il deputato ungherese Csaba Tabajdi, il Kosovo potrebbe persino rappresentare un precedente positivo in quanto esempio del rispetto dei diritti delle minoranze.
Ma alcuni gruppi politici minoritari non sono d'accordo. Il gruppo GUE/NGL ha condannato fermamente l'approvazione europea della decisione delle autorità di Pristina. Secondo il suo presidente, Francis Wurtz, questo atteggiamento indebolisce pericolosamente la credibilità del diritto internazionale, aprendo la strada ad altre indipendenze autoproclamate. Ed è scettico a proposito delle conseguenze, fondandosi sul fallimento del protettorato dell'ONU, di cui ha riassunto i risultati come segue: “Un PIL equivalente a quello del Ruanda, metà della popolazione attiva disoccupata, più di 200.000 profughi e sfollati, si moltiplicano le violenze nei confronti delle minoranze. Questo, nonostante un aiuto internazionale di 2 miliardi di euro e la presenza di 17.000 soldati della NATO. (...) Non è certo Eulex che risolverà questi problemi”. Secondo il gruppo di sinistra, l'atteggiamento dell'UE pone i rapporti di forza al di sopra del diritto e “alimenterà i nazionalismi, invece di eliminarne le cause”. L'UE riconoscerebbe così la purificazione etnica e il rischio che il nuovo Stato favorisca i traffici illegali.
Il dibattito parlamentare, quindi, non ha nascosto le perplessità e le riserve, che sono state ancora più numerose al di fuori delle istituzioni europee, ivi compreso tra alcuni governi. I dubbi sono parecchi e i pericoli sono stati denunciati. Questa rubrica ne farà un resoconto nei prossimi giorni e riferirà sui motivi (obiettivamente validi) che hanno imposto la posizione ufficiale.


Al di là della Notizia, di Ferdinando Riccardi:

L'UE e il Kosovo indipendenti: ombre e luci, certezze e perplessità
20 February 2008
(c) Agence Europe, Brussels 2008. All rights reserved.


Evitare la demagogia. Sarebbe relativamente facile per il Kosovo, ironizzare sull'assenza di posizione uniforme UE: in merito ad alcuni aspetti essenziali non vi è un atteggiamento europeo sul riconoscimento del nuovo Stato. E' vero ma si dovrebbe sapere che una politica estera comune non esiste ancora, e che per ora non può esistere. Una certa retorica lo deplora e si indigna, chiedendo decisioni a maggioranza nel settore: è demagogia. Chi raccomanda una politica estera UE decisa a maggioranza è pronto ad accettarne i risultati… se sono conformi alle sue posizioni. Non dimentichiamo la guerra in Iraq: chi rifiuta di parteciparvi, avrebbe accettato di inviarvi i suoi soldati se fosse stato il risultato di un voto europeo? E chi voleva essere al fianco degli USA, vi avrebbe rinunciato nel caso contrario? Se l'UE avesse avuto una politica estera e di difesa decisa a maggioranza, una tale politica sarebbe scoppiata. Fino a che l'UE non avrà responsabilità militari e forze armate, le decisioni da cui dipendono guerra e pace, l'invio di giovani alla guerra rischiando la vita, restano nelle mani dei Parlamenti e dei governi nazionali. E' inevitabile.
Nei dibattiti a riguardo torno sempre a Jacques Delors. Si sa cosa gli deve l'unità europea e che amava le sfide e l'audacia; ma per la politica estera e di difesa, respingeva la demagogia. Ha sottolineato nelle sue Memorie che vi sono casi in cui gli interessi politici dei paesi membri coincidono, ed è allora possibile agire insieme; ma ogni paese possiede tradizioni proprie, la propria storia, le proprie relazioni privilegiate. L'UE deve abituarsi a “edificare azioni comuni ogni volta che vi è convergenza di analisi, di interessi e di volontà di azione” lavorando progressivamente per fare emerger le posizioni uniformi ma “non si può progredire solo con azioni comuni chiaramente definite, per le quali è possibile un consenso”.
Un “protettorato” europeo. E'quello che sta facendo l'UE per il Kosovo. Non vi è unanimità sul riconoscimento del nuovo Stato, il nostro bollettino di ieri ha indicato motivi e posizioni di ognuno ma vi è unanimità (con l'astensione cipriota) sulle iniziative da prendere. Pur garantendo un “futuro europeo” alla Serbia e al Kosovo, l'UE assumerà in Kosovo responsabilità tali che portano alcuni commentatori a parlare di protettorato (senza mandato ONU). La missione civile in base alla Pesd (2000 poliziotti, magistrati e agenti doganali) comprenderà cittadini dei paesi UE che non riconoscono il nuovo Stato. Non si deve dimenticare che il paese non avrà un vero esercito, né un ministro della Difesa, né degli Esteri, né un seggio all'ONU.
Le differenze nelle posizioni nazionali sul riconoscimento del nuovo Stato sono decise dal timore che il testo dei kosovari divenga un esempio e un precedente giuridico o politico per altre situazioni altrove. Secondo il Consiglio il paese è un caso particolare che non rimette in discussione i principi di diritto internazionale, in particolare la sovranità e l'integrità di questi Stati.
Un caso speciale salvo per la stessa zona. Sarebbe pericoloso e illogico assimilare il caso del Kosovo ad altri, ma dubito che tale specificità sia possibile nella stessa area e per la popolazione oggi invitata ad accettare la secessione del Kosovo, cioè la popolazione serba. Se le frontiere ufficiali (che affermano che il Kosovo è una regione serba) non sono valide, non possono nemmeno esserlo per le zone vicine, dove la popolazione di origine serba è maggioritaria, che si tratti di una parte del nuovo Stato kosovaro o per la parte serba della Bosnia Erzegovina. Tali popolazioni devono poter scegliere tra autonomia o adesione alla Serbia. Nessun cavillo giuridico può contestare tale evidenza: se in questa zona le frontiere riconosciute a livello internazionale non sono più valide in un senso, non lo sono nemmeno nell'altro.
La dignità di uno Stato. Al di là del periodo iniziale, il nuovo Stato si preoccuperà probabilmente di provare che è in grado di vivere con i propri mezzi. E'un problema di credibilità e dignità. L'UE fornirà sostegno e cooperazione ma un paese indipendente deve mostrare la volontà e la capacità di esistere da solo. Alcuni casi recenti non possono e non debbono essere un precedente.
(F.R.)


Al di là della Notizia, di Ferdinando Riccardi:
Dopo la scelta europea della Serbia, si auspicano due iniziative da parte dell'UE
6 February 2008
(c) Agence Europe, Brussels 2008. All rights reserved.
AL DI LÀ DELLA NOTIZIA

Difficili, ma giustificate. Adesso che i serbi hanno dimostrato il loro spirito democratico (la partecipazione alle elezioni è stata del 67%) e la loro volontà di aderire all'UE, spetta a quest'ultima, al di là delle frasi di circostanza, reagire in modo concreto prendendo due iniziative: a) indicare che è pronta a firmare l'accordo di stabilizzazione e di associazione UE-Serbia; b) tener conto di quello che avverrà a proposito dell'indipendenza del Kosovo nel proprio atteggiamento nei confronti delle maggioranze serbe nei paesi vicini.
So bene che questi due suggerimenti saranno accettati molto difficilmente subito tali e quali, perché alcuni governi europei hanno riserve al riguardo e il coraggio e la schiettezza non sono le qualità principali delle istituzioni europee. Riguardo alla firma dell'accordo UE-Serbia già pronto, l'ostacolo politico principale viene dai Paesi Bassi e, in parte, si puo' spiegare. Né l'opinione pubblica, né le autorità di questo paese hanno dimenticato che il crimine di guerra più doloroso di cui si erano rese colpevoli le forze armate serbe dodici anni fa (il massacro di Srebrenica, 7.000 morti) era stato commesso in una zona sorvegliata dai “caschi blu” olandesi e chiedono che le autorità serbe attuali consegnino al Tribunale de L'Aia colui che allora era al comando e che è accusato di genocidio. Questa sensibilità dell'Olanda è comprensibile, ma il legame tra il mancato arresto di Ratko Mladic e il veto alla firma dell'accordo con la Serbia democratica e pro-europea odierna è eccessivo. Quale paese non è stato responsabile, un giorno o l'altro, di crimini di guerra? Erano forse giustificabili alcuni bombardamenti delle forze della NATO che avevano distrutto i ponti sul Danubio, uno dei fiumi sacri dell'Europa, a scapito di popolazioni che non avevano nulla a che vedere con il crimine di Srebrenica?
L'UE ha fatto un passo, proponendo alla Serbia di firmare questo giovedì stesso un accordo politico provvisorio, e si tratta di un passo rilevante, perché le riserve e le reticenze erano parecchie, anche da parte di alcuni grandi paesi, come la Germania e il Regno Unito (vedi il nostro bollettino n.9589); ma credo che adesso sia opportuno un passo ulteriore. Non dimentichiamo che, nei nostri paesi, il voto serbo di domenica era stato presentato come un referendum per o contro l'Europa.
Lo stesso principio è valido per i kosovari e per i serbi. Il secondo atteggiamento auspicabile è più complesso e delicato, ma credo che l'UE non possa fare a meno di dare un cenno di chiarezza politica e di onestà intellettuale. Tutti aspettano la proclamazione a più o meno breve scadenza dell'autonomia del Kosovo da parte delle sue autorità e la reazione americana sarà positiva, così come, generalmente, quella europea. Ma alcuni paesi dell'UE non intendono riconoscere subito il nuovo Stato indipendente, temendo di incoraggiare le velleità autonomistiche di alcuni movimenti al loro interno; ma globalmente, l'UE si orienta verso un riconoscimento del Kosovo indipendente. Questo atteggiamento risulta da una constatazione: il Kosovo è abitato prevalentemente oggi da una popolazione che non ha alcuna relazione con i serbi, né dal punto di vista etnico (è di origine albanese), né dal punto di vista religioso (è musulmana), né dal punto di vista culturale (altra lingua, altra storia, altre tradizioni); e chiede l'indipendenza. Di fronte a queste ragioni perentorie, i vecchi confini, tracciati a suo tempo tra le diverse componenti della Jugoslavia federale non sono più intoccabili.
Questo ragionamento non si puo' trasporre tale e quale a tutti i casi e in tutte le situazioni: nel mondo, regnerebbe il caos. Ma deve essere ammesso almeno nella stessa regione e nei confronti della stessa popolazione. Se i vecchi confini non sono più validi e se la scelta spetta agli abitanti, l'UE ha il dovere di riconoscere lo stesso principio per le zone in cui i serbi sono nettamente maggioritari, sia in alcune zone del Kosovo, in Bosnia o in altri posti. L'UE deve riconoscere a quei serbi un diritto analogo all'autodeterminazione; è una questione di dignità e di coerenza.
Per ora, le autorità serbe non chiedono nulla di simile, perché continuano a sostenere il rispetto dei confini attuali, in base ai quali il Kosovo fa parte della Serbia. Ma il giorno in cui dovranno rinunciare a questo stesso principio, anche se il Kosovo è la culla della loro civiltà, quel giorno, il diritto all'autonomia dovrà essere generalizzato in tutta la zona. L'UE ha respinto nell'ex-Jugoslavia il concetto della coesione etnica, adducendo principi indubbiamente nobili, benché siano in parte illusori (lo si vede ovunque, in Africa come in Asia, e forse lo si constaterà persino negli Stati Uniti). Se l'UE adesso riconosce il principio etnico e persino religioso, questo diventa valido per tutti. (F.R.)

Chi è Riccardi: http://www.cafebabel.com/en/article.asp?T=T&Id=11578


Vado a farmi un oban (che però è un whiskey unblended) . ah, oban è in basso a sx nella mappa . Chissà cosa succede se ci aggiungo un goccio di rakja *...


* non ho messo la voce di Wikipedia Italia che la definisce bevanda bulgara. Poi uno dice le misinterpretazioni...


[B]

martedì 26 febbraio 2008

KOSOVO POLJE


La piana dei merli”, un nome tanto leggero e pacifico quanto un destino drammatico e doloroso.

Promesse, inganni e assassini fratricidi hanno attraversato il “Kosovo Polje”, quel campo dei merli che dal 1389 è stato teatro della sconfitta dell’impero Serbo, sopraffatto da quello Ottomano.

Ma la storia non può essere una giustificazione alla violenza e soprattutto la storia non può essere la spiegazione agli orrori e alla ferocia degli scontri etnici. La storia di questa piccola parte centrale dei balcani è un susseguirsi di lotte, battaglie e guerre tra occidente ed oriente, tra slavi e ottomani o come l’era degli stati nazionali impose tra il nazionalismo serbo e quello albanese. Un punto di scontro, un innesco automatico per far brillare eserciti e dove far valere le arroganti pretese delle religioni, dei fondamentalismi religiosi.

E’ tra secoli di morti e battaglie capita persino di scoprire il sentimento anti-serbo che lo stesso dittatore rosso Tito nutriva per quel popolo che in epoca recentissima appariva come il baluardo della difesa nazionale jugoslava. Dopo la frantumazione, la polveriera balcanica torna a dimostrare come le decisione soprattutto nella piana dei merli non siano state indolore o facili da prendere. Febbraio 2008 il Kosovo sceglie unilateralmente la via della indipendenza. Anche l’Europa si spacca, il mondo si interroga sul diritto di autodeterminazione dei popoli appiattendo tutto secondo un’ottica assolutamente occidentalista.

E per fortuna ci corre in aiuto la cronaca, ricca si’ ma fatta spesso di passioni irrazionali, inganni e menzogne: è il 1999 e i negoziati di Rambouillet si chiudono con un “pareggio” – per alcuni un imbroglio per altri l’ennesima prova di incapacità delle grandi potenze mondiali – il documento prevede forte autonomia per il Kosovo ma scongiura la sua indipendenza. I Serbi gridarono all’imbroglio ordito da Usa e UCK, l’autonomia era l’anticamera dell’indipendenza. Tra i fascicoli dell’accordo c’è un allegato, che sancisce l’occupazione militare della Serbia da parte dell’NATO. E l’Italia – con un D’Alema alla presidenza del Consiglio – consentì per la seconda volta l’uso del suo spazio aereo per azioni militari contro un altro stato nazione.

Ma il Kosovo non si risolse come nel precedente conflitto balcanico perché l’allora presidente Milosevic era convinto che non tutte le nazioni erano dello stesso avviso dell’Alleanza Atlantica. L’arrivo della KFOR, dopo le morti i bombardamenti e la capitolazione serba segnò la fine di un conflitto ma con buona probabilità non fu il principio di una convivenza pacifica. Enclavi serbe in un Kosovo albanese, questo il risultato.

Ed in questo clima mai disteso, mai collaborativo prende forma l’indipendenza unilaterale della piana dei merli. Nel leggere la cronaca di questi anni come la storia secolare dei balcani, rimane sempre l’amaro in bocca. Rimane sempre la sensazione che a fasi alterne queste due “fazioni” abbiano subito il terrore ma anche ricambiato l’avversario delle stesse atroci attenzioni. Ma soprattutto negli ultimi terribili decenni rimane l’amaro in bocca per il modo con il quale la comunità internazionale, l’Europa e gli Stati europei hanno trattato la questione dei balcani.

Opportunismi politici, calcoli irragionevoli o la paura di scatenare irredentismi locali non hanno mai concesso grandi speranze alla pace.

Enrico

lunedì 25 febbraio 2008

Rompiamo il Muro del Silenzio!


La campagna elettorale sta entrando nel vivo e noi di Ri-Generazione non staremo certo a guardare. I due Maxi-Partiti-Contenitori - coadiuvati da qualche alleato qua e là - si apprestano a confrontarsi sui destini del Paese. Ma per l'Italia e per chi ancora resta fuori da tutte le corporazioni, dai giri che contano, per chi non è tutelato da niente e da nessuno, non si preannuncia nulla di nuovo. La lotta è per chi comanderà o meglio per chi continuerà a comandare. Ecco perché noi non possiamo che continuare a stare dalla parte di chi oggi è escluso da tutto. Siamo dalla parte dei precari (giovani e meno giovani), dalla parte delle donne, dei disabili, delle tante coppie di fatto che non hanno diritti, dalla parte delle famiglie di quei lavoratori morti sul loro luogo di lavoro e dalla parte di tutti quegli infortunati sul lavoro che non sono più potuti tornare a lavorare. Siamo contro chi descrive un paese che non c'è, contro chi vuole negare la verità per apparire bello sui giornali. Ci schieriamo quindi al fianco di chi ha coraggio e al fianco di chi oggi non ha voce convinti che la battaglia non sia persa in partenza.

domenica 24 febbraio 2008

Intese e convergenze

Larghe intese sulle riforme, dice Berlusconi.
No, ampie convergenze sulle riforme, ribatte Veltroni.

Dov'è la differenza?

giovedì 21 febbraio 2008

Perry Mason tra noi

La nemesi ha colpito: dopo averci bombardato di telefilm polizieschi per anni, Berlusconi ha finito per credere a quello che le sue televisioni trasmettono. Così ecco venir fuori la trovata delle giurie popolari – ben 9 giurati – per tutti i processi per reati con pene superiori ai 5 anni.
Tutto per accelerare i processi e assicurare la parità tra accusa e difesa. Tesi suggestive, ma non troppo fondate.
La velocità dei processi dipende dalle risorse umane e materiali di cui nessun governo si è mai troppo preoccupato (per inciso neanche l’ultimo, che tra i suoi primi provvedimenti ha tagliato 50 milioni dal bilancio disastrato della Giustizia per riversarli nel Fondo Unico per lo Spettacolo e già questo è emblematico di molte cose) e da norme processuali un po’ meno contorte, non certo dall’uso delle giurie popolari, già previste dal codice per i reati più gravi che arrecano il maggior vulnus alla convivenza civile e pretendono un alto valore simbolico del giudizio.
Tra l’altro ipotizzare che qualche centinaio di migliaia di cittadini sia disponibile a tempo pieno per periodi indefiniti rientra più nell’ambito della fantascienza che in quello del legal thriller.
Non tiene nemmeno la tesi della maggior garanzia di parità tra accusa e difesa, a meno di non sostenere che il giudice è sempre parziale e deve essere bilanciato dai giurati popolari.
Guarda caso torniamo sempre alla magnifica ossessione berlusconiana, perché è proprio questo il messaggio: magistrati parziali e inaffidabili e soprattutto inutili, perché possono essere sostituiti da chiunque.
Aspettiamo reazioni degli altri contendenti alle elezioni e non dal solo Di Pietro, tanto più che è già stato chiarito che qualsiasi cosa dica, le decisioni e le scelte sono prese altrove…

[M]

martedì 19 febbraio 2008

YES, WE CAN...


Elezioni: Pd campano spinge per De Mita

19 feb 17:14


NAPOLI - Il segretario regionale campano del Pd, Tino Iannuzzi, sostiene con forza la candidatura di Ciriaco De Mita. In una nota, Iannuzzi afferma che tale posizione e' "condivisa dal partito campano proprio perche' le liste del Pd debbono essere espressione di quella valorizzazione delle nostre radici piu' profonde". L'80enne De Mita "esprime - secondo il segretario regionale del partito di Veltroni - una prestigiosa esperienza al servizio dello Stato e delle istituzioni". (Agr)


venerdì 15 febbraio 2008

MICROMEGA PROMUOVE QUESTO APPELLO

Per sottoscrivere la lettera-appello: www.firmiamo.it/liberadonna

Caro Veltroni, caro Bertinotti, cari dirigenti del centro-sinistra tutti,
ora basta!
L'offensiva clericale contro le donne – spesso vera e propria crociata bigotta - ha raggiunto livelli intollerabili. Ma egualmente intollerabile appare la mancanza di reazione dello schieramento politico di centro-sinistra, che troppo spesso è addirittura condiscendenza.
Con l'oscena proposta di moratoria dell'aborto, che tratta le donne da assassine e boia, e la recente ingiunzione a rianimare i feti ultraprematuri anche contro la volontà della madre (malgrado la quasi certezza di menomazioni gravissime), i corpi delle donne sono tornati ad essere “cose”, terreno di scontro per il fanatismo religioso, oggetti sui quali esercitare potere.
Lo scorso 24 novembre centomila donne – completamente autorganizzate – hanno riempito le strade di Roma per denunciare la violenza sulle donne di una cultura patriarcale dura a morire. Queste aggressioni clericali e bigotte sono le ultime e più subdole forme della stessa violenza, mascherate dietro l’arroganza ipocrita di “difendere la vita”. Perciò non basta più, cari dirigenti del centro-sinistra, limitarsi a dire che la legge 194 non si tocca: essa è già nei fatti messa in discussione. Pretendiamo da voi una presa di posizione chiara e inequivocabile, che condanni senza mezzi termini tutti i tentativi – da qualunque pulpito provengano – di mettere a rischio l'autodeterminazione delle donne, faticosamente conquistata: il nostro diritto a dire la prima e l’ultima parola sul nostro corpo e sulle nostre gravidanze.
Esigiamo perciò che i vostri programmi (per essere anche nostri) siano espliciti: se di una revisione ha bisogno la 194 è quella di eliminare l'obiezione di coscienza, che sempre più spesso impedisce nei fatti di esercitare il nostro diritto; va resa immediatamente disponibile in tutta Italia la pillola abortiva (RU 486), perché a un dramma non debba aggiungersi una ormai evitabile sofferenza; va reso semplice e veloce l'accesso alla pillola del giorno dopo, insieme a serie campagne di contraccezione fin dalle scuole medie; va introdotto l'insegnamento dell'educazione sessuale fin dalle elementari; vanno realizzati programmi culturali e sociali di sostegno alle donne immigrate, e rafforzate le norme e i servizi a tutela della maternità (nel quadro di una politica capace di sradicare la piaga della precarietà del lavoro).
Questi sono per noi valori non negoziabili, sui quali non siamo più disposte a compromessi.

PRIME FIRMATARIE:
Simona Argentieri
Natalia Aspesi
Adriana Cavarero
Isabella Ferrari
Sabina Guzzanti
Margherita Hack
Fiorella Mannoia
Dacia Maraini
Alda Merini
Valeria Parrella
Lidia Ravera
Elisabetta Visalberghi

giovedì 14 febbraio 2008

Contenitori

Buon San Valentino a tutte le donne che ancora credono di essere persone e di avere diritto a dignità e libertà.
In questo Bel Paese che uomini (ancora!) ci propinano di voler trasformare nel giardino dell'Eden, lo sconcio di Napoli dimostra che le donne sono considerate solo come utili contenitori. Ci illudiamo che qualcosa sia cambiato, ma niente è cambiato. Né il giudice così zelante, né i poliziotti così obbedienti hanno pensato per un attimo al luogo e alla situazione in cui intervenivano: la donna era colpevole a prescindere, la sua condizione di paziente immeritevole di riconoscimento, anzi un'aggravante utile a intimidire anche la vicina di letto.
Non abbiamo sentito nessuno degli aspiranti premier stigmatizzare a caldo quanto avvenuto e noi donne per prime dovremo ricordarlo nella cabina elettorale: chi non difende la nostra dignità non merita il nostro voto.
Non abbiamo sentito il Ministro della Giustizia annunciare un'ispezione o quello degli Interni un'inchiesta, solo oggi si è parlato di accertamenti da fare.
Le cure e le premure rivolte alla donna in gravidanza non sono per lei, ma solo per la sua funzione di contenitore. Venuto alla luce il bambino, delle donne, della loro vulnerabilità alla violenza, non ci si preoccupa.
Le statistiche sulla violenza alle donne nel nostro Paese sono allarmanti, eppure quante donne hanno visto un tale spiegamento di forze dell'ordine quando hanno denunciato maltrattamenti e minacce? Quante sono state rimandate nel loro casalingo inferno con parole che minimizzavano la loro situazione? E di quante si è poi detto: "Chi l'avrebbe detto che sarebbe finita così? Lui sembrava tanto una brava persona". Non ha importanza che siano madri, possono essere sostituite, è solo quando sono incinta che non lo si può fare.
Non contiamo sulla difesa della politica, perchè questi aspiranti piccoli napoleoni non possono permettere alcuna libertà e la possibilità di disporre di sè è la prima e più importante libertà. Contiamo su di noi, senza obbedienze di schieramento. Siamo più della metà dell'elettorato: facciamolo pesare.
[M]

«La libera elezione dei padroni non abolisce né i padroni né gli schiavi.» H. Marcuse

Ad onor del vero nella citazione del titolo bisognerebbe precisare che, oggi in Italia, la qualifica di libertà di elezione oggi non è più data.
Scrivo questo post sull'onda di un moto di ripulsa avuto nell'ascoltare Walter Veltroni nella terza camera del nostro Paese: Porta a Porta.
Ora, se dovessi argomentare critiche su tutte le questioni toccate dal candidato premier del PD dovrei scrivere tutta la notte: dalla politica estera, all'approvazione del piano regolatore, dalla concezione della politica, al suo millantato "progetto di vita", mi divide tutto da quest'uomo.
Voglio soffermarmi solo su un aspetto da lui toccato: le primarie svolte dal PD.
Innanzi tutto paragonatele a quelle americane: durano mesi, hanno regole certe, si può essere più o meno d'accordo col sistema elettorale statunitense, ma si deve riconoscere che rappresentano qualcosa.
L'ex sindaco di Roma ha citato, come termine di paragone, le primarie del PS francese, ha più o meno affermato: lì ci sono stati 200.000 partecipanti, iscritti al partito. Qui da noi invece milioni e milioni di persone hanno liberamente partecipato a questo grande processo democratico...
Non commento, non entro nel merito, vi propongo due filmati, realizzato da un ex iscritto ai DS...decidete voi.


[P]

1) LA DOMENICA DELLE PRIMARIE DEL PD.



2) LE PRIMARIE DEL PD: LO SPOGLIO DELLE SCHEDE.


mercoledì 13 febbraio 2008

Mistificazioni - 1

Non c’è bisogno di mentire spudoratamente: nel dibattito pubblico, per dar forza alle proprie asserzioni anche se infondate, basta mistificare. E’ semplice: dare un dato storico errato, tacere su una controprova, talvolta sovvertire la consequenzialità logica dei fatti e delle tesi senza temere il principio di non contraddizione.
Alla mistificazione siamo esposti continuamente, ma in queste poche settimane che ci separano dalle elezioni saremmo esposti ad un bombardamento senza precedenti.
Chi mistifica ha uno scopo normalmente troppo poco condivisibile per poter essere espresso chiaramente, soprattutto a coloro di cui si vuole il consenso, ancor più se si tratta di compagni di strada, ma anche amici, ma anche cittadini consumatori e “insomma basta che mi dai il voto”.

In questo viaggio attraverso le mistificazioni elettorali, cominciamo da un articolo a firma Tito Boeri (uno dei consigliere dell’aspirante principe veltroniano) apparso su La Stampa dell’11 febbraio in cui il noto economista sostiene che l’aumento della spesa pubblica è dovuto ai ricatti dei piccoli partiti. Ora chi ha un minimo di memoria storica ricorderà che i partiti della spesa in Italia sono sempre stati i grandi partiti che hanno portato avanti una politica assistenziale e di spreco delle risorse pubbliche che paghiamo ancora oggi (e che pagheremo per lungo tempo). Non si è trattato sempre di richieste immotivate, o motivate soltanto dal bisogno del consenso elettorale, ma certo DC e PCI il baratro della spesa pubblica lo hanno scavato allegramente, malgrado la feroce opposizione ad es. di PLI e PRI che non potevano proprio essere definiti colossi dal punto di vista dei consensi. Né le cose sono cambiate con l’avvento del maggioritario.

Ricordiamo a chi soffre di smemoratezza, che sull’extragettito si accese la battaglia su chi voleva utilizzarlo per ridurre il debito e chi voleva lo sgravio ICI, ovvero Rutelli. Ora non so quali siano i requisiti dimensionali che Boeri pretende dai grandi partiti ma la Margherita vantava un 10% di consensi e lo sgravio ICI sarebbe pesato, sia pure indirettamente sulle casse statali (ma forse i comuni e gli enti locali in genere non si conteggiano, neppure ai fini dei costi della politica).

Se il ragionamento di Boeri fosse logicamente coerente, l’aumento dei salari nel pubblico impiego che prende ad esempio, avrebbe fruttato ai cosiddetti nanetti il dividendo elettorale di matrice sindacale: tuttavia trovo difficile asserire che i sindacati della Triplice siano i grandi elettori dei Verdi o dell’Udeur o dei diniani etc., e non piuttosto del pd. Nel campo avverso vale lo stesso ragionamento: la finanza creativa con i suoi lasciti disastrosi è frutto delle menti di Forza Italia, non certo del partito di Rotondi. Che poi tanti piccoli si accodino giulivamente pretendendo la propria parte al lassismo dei grossi è una conseguenza quasi inevitabile.

E siccome l’aumento della spesa è colpa dei piccoli, il nostro declama che è ora di eliminarli, se non è possibile con la legge elettorale non dandogli spazio nelle coalizioni. Da qui peana a Veltroni e conclusioni “ Molti piccoli partiti sparirebbero come d’incanto e, durante la prossima legislatura si potrebbe dotare l’Italia di una legge elettorale che non abbia un “ellum” come suffisso e ridurre il numero dei parlamentari, permettendo finalmente agli elettori di scegliere e a chi verrà eletto di poter davvero governare”.

Come si vede da una premessa volutamente scorretta (quindi mistificata) si giunge ad una conclusione chiara: l’obiettivo è la creazione di una “democrazia” oligopolistica forzosa, ovviamente a chiaro vantaggio di date forze politiche. Lasciamo andare per ora la considerazione che i cittadini che si sentono rappresentati da formazioni più piccole del 30% non sono delinquenti né cittadini di serie B e che le cause della frammentazione chiamano alla sbarra tutto un sistema politico incapace di esprimere qualcosa di più della retorica pubblicitaria e soffermiamoci sulla contraddittorietà intrinseca e rivelatrice della conclusione, quella scelta degli elettori solo apparente.

La scelta presuppone una pluralità di offerte, non un duopolio (sensibile agli accordi di cartello), ma oltre al duopolio si aggiunge la riduzione dei parlamentari che ha lo scopo di preservarlo: benchè sia spacciato come utile alla riduzione dei costi della politica (in realtà il beneficio sarebbe marginalissimo, poiché i veri costi sono altrove, in greppie che chi ha il controllo degli enti locali – e ci pare che siano i grossi partiti – non intende toccare) è assai utile alla riduzione della rappresentanza: la quantità di voti necessaria all’elezione di un singolo parlamentare in bacini elettorali più vasti sarebbe tale da garantire sonni tranquilli al duopolio per i prossimi 5.000 anni e da stroncare sul nascere qualsiasi possibilità di concorrenza. Certo i contrasti si trasferirebbero dalla triste trasparenza dei conflitti tra partiti alla squallida segretezza degli scontri tra correnti, ma la gestione del potere metterebbe poi tutti d’accordo, abbiamo già visto anche questo.

Il fine della mistificazione è chiaro, ma sarà ancora e ancora declinata nel corso dei giorni. Procuriamoci gli anticorpi.

[M]

martedì 12 febbraio 2008

SINDACOZONO

LO VOGLIAMO SINDACO!

lunedì 11 febbraio 2008

Potevamo stupirvi con effetti speciali...

Comincia la gara all'effetto migliore, alla retorica più efficace, allo slogan nuovo che più nuovo non si può. Ecco che si parla della cravatta rossa di Veltroni (l'unica cosa rossa con diritto di cittadinanza nel pd. Saranno contenti i margheriti, sempre terrorizzati dall'eccesso di bandiere rosse nelle manifestazioni), della cravatta mancante di Berlusconi - che denota rilassatezza, ovvero sicurezza nella riuscita - di sfondi sempre uguali, di paesaggi bucolici, di pubblico di contorno stile Zecchino d'oro o reality Mediaset.
Come se questo fosse l'unico metro di giudizio e di convincimento per elettori senza capacità di riflessione, bimbi che si incantano davanti ai numeri di prestigiatori.
La bulimia delle parole che incessanti si riversano su noi, lascia un sapore di cenere e di qualcosa che manca. E' il sapore della mistificazione, del continuo piegare i fatti e la logica certi di convincere che il bianco è nero, anzi che non esistono più bianco e nero, come non esiste più la distinzione tra destra e sinistra. L'ignavia trasformata in idea politica e la politica privata di qualsiasi missione, di quasiasi concezione del futuro in nome del buon senso.
La Politica disegna mondi e li costruisce, ma le parole che affollano giornali e tv sono senza anima, sono le parole della gestione del potere, non della Politica.
Siamo proprio sicuri che sono le parole che noi cittadini ci accontentiamo di sentire? O il nostro fastidio, la nostra sopportazione, la nostra rassegnazione non nascono anche dalla consapevolezza che questa politica fatta da uomini ormai sperimentati in troppe occasioni, ha perso l'anima e il senso dell'orizzonte di un mondo diverso e migliore?
E gli sfondi bucolici o azzurri, le cravatte si o no, gli slogan, i giovani che fanno scenografia ormai hanno svelato il trucco e non ci bastano più.
[M]

Ovunque vai ti chiedono di votare

Vai al supermercato e c'è l'apposito box per spedire il concorso a premi e per votare il tuo barattolo di pelati preferito.

Apri le pagine dei giornali in internet vieni sommerso da richieste di voto: il tuo articolo preferito (che fin qui non ci sarebbe nulla di strano), la tua pubblicità preferita (e qui inizia a puzzarmi la cosa), chi vincerà il campionato, se un rigore c'era o no, se brad pitt e la jolie devono avere un altro figlio o se andare al supermark e comprarne uno (in quanto a quelli dello spettacolo è permesso mentre a noi famiglie italiane sono necessari fiumi di danaro e attese che durano a volte lustri insopportabili), etc etc etc di quanto più effimero c'è.

vai dal benzinaio e puoi votare se la benzina deve avere più ottani o meno ottani, tanti ottani ma purchè nani!

Vai dal macellaio e ti chiedono di votare se è meglio la carne di porco, kosher o agli estrogeni.

Telefoni ad un qualsiasi cazzo di numero verde e ti tengono mezzora al telefono per chiederti qual'è il call center che preferisci o la tua musica di attesa preferita(sperando che prima o poi capiscano che bocelli sarà un bravo cantante ma come minghi al telefono fa venire due maroni...).

Nota per il lettore: chiedo agli utenti di questo blog formalmente scusa per il linguaggio scurrile e dozzinale che da un paio di post mi esce così "bene" e spontaneo. Chiedo scusa perchè capisco che non è nello stile di questo blog e tanto meno nello stile della rete, ma la rabbia che ho la devo pur sfogare in qualche modo.Perdonatemi come avete perdonato Berlusconi per la legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio e come avete perdonato Veltroni per la frase "io sono il nuovo della politica italiana". Perdonate gente!
Giri l'angolo e qualcuno ti chiede di votare per il miglior netturbino del quartiere, giri un altro angolo e ti chiedono di votare il pizzicagnolo....

Per non parlare del voto politico. Come le fatture a scadenza 120gg: tra primarie, amministrative, politiche ed europee stò più tempo dentro il seggio che a casa con mio figlio!

VOTO ERGO SUM!

Concedetemi però una parentesi: guardate la foto della campagna elettorale di un famoso sindaco di Roma e il video che segue..... e ditemi voi (votando si intende) se è realtà o finzione!






[enrico "Postillonage" Gambino]

sabato 9 febbraio 2008

...indiscrezioni...


Sembrerebbe, da fonti assolutamente attendibili, che il candidato premier del PD chiuderà la campagna elettorale con il costume di Capitan America.

La decisione sarebbe stata presa dopo un serrato confronto nel loft, purtoppo non è stata raggiunta all'unanimità: Ciriaco De Mita avrebbe motivato il suo voto contrario non nel merito ma nella scelta del personaggio, secondo lui Don Camillo sarebbe stato più appropriato.

Sempre le nostre fonti ci avrebbero riferito dell'astensione di Massimo D'Alema, c'è chi l'avrebbe visto accucciato in un angolo, affranto, con lo sguardo fisso sulla foto che lo ritraeva in uniforme da pioniere al congresso del PCI dove intervenne per la prima volta sotto lo sguardo di Palmiro Togliatti...ma su quest'ultima indiscrezione non v'è effettiva certezza.


[P -the bullwinkle boy- franzetti]

venerdì 8 febbraio 2008

Pluralità

Il post qui sotto è la dimostrazione che Veltroni non ha mai letto Max Stirner.

Però ne ha sentito parlare. Come potrebbe essere altrimenti?
Del resto, "l'Unico e la sua proprietà" è un bel titolo. Il nostro ci ha pensato un po' e ne ha rielaborato il messaggio.

Lista unica, solo di Coppola (e se ne frega pure della Circoscrizione estero):

Francis Ford Coppola (Italiani nel mondo, cineasti)
Sofia Coppola (Italiani nel mondo, cineasti, donna, ggiovane, talentuosa, chic)
Roman Coppola ( Italiani nel mondo, nuovi media, talentuoso, gli ha fatto un favore facendo recitare Silvio Muccino, migliore amico della figlia Martina, vaga omonimia con Prodi)
Cristiana Coppola (o'businesss, appalti, interessi, Confindustria e -ah sì -donna)
Aldo Coppola (artista, superstar internazionale, imprenditore del Made in Italy nel mondo)
Danilo Coppola (buuusinesss, appalti, interessi, ci vuole sempre il pregiudicato)
Fabio Coppola brillante avvocato genero di Bazoli
Imani Coppola (cantante di nicchia, giovane, donna, caruccia, mulatta come Obama, riempilista agli ultimi posti dato che nessuno ricorda chi fosse ed il suo sito web è inattivo)
e poi tutti gli abitanti del demolito Villaggio Coppola, che prendono il cognome del feudatario, proprio come ai bei tempi.

[B]

UNICO.

Pensiero, modello, partito.
Senza alternative.
Rifiuto di uniformarmi a qualcosa che mi renderà null'altro che parte di un'unicità che annienta ogni tipo di diversità.
Rifiuto che ci sia qualcuno che detta delle regole, non le discute, e le impone con la forza.
Rifiuto il mondo ad una dimensione.
Rifiuto una politica che sia la scelta tra due facce della stessa medaglia.
Rifiuto un'economia in cui il modello sia solo quello del profitto.
Rifiuto lo schifo che viene presentato come base di rapporti individuali, umani, di lavoro, economici.
Voglio un mondo diverso da quello che altri mi vorrebbero imporre.
Voglio una dimensione umana.
Voglio essere soddisfatto della mia vita.
Voglio il diritto alla mia unicità.
Voglio essere un uomo e non una copia.


Trama de "L'invasione degli ultracorpi" film tratto dal romanzo di Jack Finney del 1955, diretto da Don Siegel nel 1956:
-La cittadina di Santa Mira è stata invasa da esseri spaziali che copiano perfettamente gli abitanti ai quali si sostituiscono durante il sonno. Queste creature si replicano all'interno di enormi baccelli che crescono finché creano copie senza emozioni ed eliminano gli originali.-





[P]

SEI PROPRIO UN TIPO IN GAMB....INO

Oggi non mi va proprio di parlare di politica, non mi va di leggere i giornali, non mi va di fare un cazzo, vedo tutto nero e ho dei strani presagi:
- che saremo invasi dagli alinei "I VELTRONIANI"
- che per due mesi saremo circondati ed assediati dai "GAZEBO" (negli anni ottanta era un cantante nel nuovo millenio un incubo)..al posto di dire mi sono fatto la casa in montagna si dirà mi sono fatto il gazebo in piazza san babila!
- il prossimo Governo avrà solo 12 ministri e ministeri (la catastrofe del pubblico impiego!)
- di cattolico in cattolico costruiremo la nostra chiesa: fedeli come mattoni e laici pronti all'esilio coatto....
- non ci saranno più 24 e rotti partiti ma due soltanto, al parlamento non dovranno più fare la conta dei voti....
- i giornali scriveranno soltanto dei peli pubici di sarkozy e carla
- le tv manderanno in onda solo i fakes che girano su youtube
-alitalia sarà definitivamente venduta e finalmente anche sui voli alitalia ci saranno le hostess che si spogliano low-cost e la vinegrette

a parte l'italia oggi ho letto "The Colorful nicknames" della mafia ItaloStatunitense:

-- Vincent "Elmo" Amarante
-- Thomas "Tommy Sneakers" Cacciopoli
-- Domenico "The Greaseball" Cefalu (questo è il mio mito!)
-- John "Jackie the Nose" D'Amico (geniale!)
-- Vincent "Vinnie Hot" Decongilio (un vero sciupafemmine)
-- Joseph "Joe Gag" Gaggi
-- Anthony "Buckwheat" Giammarino
-- John "Johnny Red Rose" Pisano (il romanticone)
-- Richard "Fat Richie" Ranieri (lo adoro!)
-- Michael "Mike the Electrician" Urciuoli (gli ho chiesto un preventivo per cambiare i faretti in cucina)

la fantasia al potere!
che differenza rispetto all'ITALIA e mi immagino i nickname dei nostri politici

-- Romano "mortadella" Prodi
-- Silvio "mediaset" Berlusconi (e mille altri....)
-- Walter "obama" Veltroni (ma anche Walter "barak" Veltroni, ma anche wolter "valterino" Veltroni, ma anche....)
-- Teodoro "er pecora" Bontempo
-- puff puff puff ....
ecco che a ripensare all'Italia sono ricaduto nel parlare di politica e mi è tornata la tristezza!

Vabbè mi rileggo i nickname della mafia e mi gurado "the snatch"....



[Enrico]

giovedì 7 febbraio 2008

La fantastoria del tg2

Il 30 gennaio alle 20,30 il tg2 manda in onda un servizio sull’avvento di Hitler e sul rapporto tra nazismo e religione, cogliendo l’occasione della pubblicazione di due testi sull’argomento. Il giornalista, con l’ausilio di mappe e bandierine mostra i risultati elettorali conseguiti dai nazisti nelle elezioni del 1933 (che li portarono al potere) mostrando che nei lander a maggioranza cattolica Hitler non ebbe la maggioranza dei consensi: da ciò insinua un legame tra nazismo e protestantesimo, invitando -con tono trionfante – alla riflessione tutti coloro che rimpiangono che in Italia non vi sia stata la Riforma.

Peccato che questa ricostruzione sia una evidente mistificazione della realtà storica, non tanto e non solo perchè la Chiesa Cattolica e i cattolici hanno sparso sangue di milioni di innocenti o perché le religioni non hanno mai costituito un argine efficace all’odio, alla volontà di sopraffazione e alla violenza, ma perchè a combattere il nazismo furono paesi protestanti, mentre assai più inclini ad esso si mostrarono (tralasciando Italia e Spagna) gli ustascia croati (cattolici) e i francesi collaborazionisti (cattolici anch’essi).

E poi l’Austria nel 1938 – quando era chiaro cosa fosse il nazismo – non votò l’annessione alla Germania con il99% dei consensi e folle plaudenti per le strade?
E l’Austria è certo un paese cattolico: persino un telegiornale sanfedista come il tg2 dovrebbe saperlo... e forse lo sa... e ancor più certamente sa che sono pochi a ricordare l’Anschluss e che, perciò, il messaggio perverso che vuole divulgare, ovvero la superiorità morale del cattolicesimo, passerà comunque.

Non ci risultano interventi della Commissione Vigilanza Rai o dell’Agcom di fronte a tanta smaccata e scorretta propaganda e non ci piace affatto, perchè il sonno della conoscenza genera mostri, anche se mascherati da fantastoria come quella del tg2.
[M]
http://www.milanovaldese.it/

http://www.fedevangelica.it/nev_.asp?id=679

mercoledì 6 febbraio 2008

ELECTION DAY

Era già tutto qui.
E pensare che all’epoca (si era nel 1985) li schifavo.


Probabilmente ispirati dalle tribune politiche occasionalmente occhieggiate nei camerini nel corso dei Festival di Sanremo anni 80 o, più semplicemente, catalizzatori dello Zeitgeist come tutti i veri artisti, i Duran Duran prima si scissero negli Arcadia (che sembra il nome di una Loggia), poi produssero questo video profetico.

Ci sono tutti: Gianni Letta, Veltroni, artisti di corte, donne (gnocche, ma quasi tutte fuori campo).
Mi è sembrato anche di scorgere Nino Strano, stavolta senza mortadella per problemi di diritti d’autore.
Anche Cossiga offre un cameo (fa il cavallo).
Manca solo il bus del PD, ma non è abbastanza glamourous.

L’insieme di immagini e testo offre una chiave interpretativa più acuta di un saggio di Amartya Sen:

Rumours or rivals yell at the strike force –
Hi guys, by the way, are you aware you’re being illegal (ooh) (sarebbe ahoo ma perdonateli, so’ inglesi)
Its making your saviour behaviour look evil

Use your intuitive play
Cause maybe we have more play time than money

Maximum big surprise you know something new
I pull my shirt off and pray,
Were sacred and bound to suffer this heatwave

Pull my shirt off and pray
We're coming up on re-election day


I Duran si fecero nuovamente prendere dalla scimmia della politica italiana al momento di riunirsi(come una DC qualsiasi), evento annunciato dalla comparsata di uno dei precedenti membri del gruppo nel video di The Flame, chiaro riferimento alla Destra di Storace.
http://www.youtube.com/watch?v=ylHuMPXyrLE


Wild and scheming
Could be OUR
ELECTION DAY


Avevano pensato a tutto, anche a due versioni, una per la scadenza naturale della legislatura (9 minuti),

http://www.youtube.com/watch?v=snHsnpiQs3Q

l’altra anticipata (4 e mezzo). Guarda caso quella anticipata è migliore:



[B]

martedì 5 febbraio 2008

Fiera del Libro e Fiera della genuflessione

Perle di saggezza raccolte qua e là, calcificatesi come calcoli all’altezza della mia cistifellea:

“Sulla Fiera del Libro concordo: è un evento culturale in cui certe polemiche dovrebbero restare fuori...

Tuttavia non è una buona ragione per disattivare il cervello e dimenticare quanto avviene in Palestina”…

Quanto a me, ahimé, ho il cervello disattivato. Non riesco a capire perché Israele debba sempre giustificare la sua esistenza in vita.

Scommetto che se la fiera fosse stata dedicata a Cina o Iran nessuno avrebbe operato simili raffinati distinguo di equivicina pax et bonum.

Altra colica renale mi è causata dalla «linea di convergenza» fra socialismo e religiosità tracciata dalla - ancora per poco- terza carica dello Stato:
http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200802articoli/29812girata.asp

E mi si dice:
“Sono un po' stuf* che si continui a 'ridicolizzare' Fausto con questi argomenti: prima il tormentone era sul suo abbigliamento, ora la religione...
Arriverà mai una critica politica o ci si dovrà rassegnare a queste sciocchezze degne di Novella2000?”

Al che uno pensa: Fatti suoi? padronissimo. Se solo non l'avesse sparato ai media, potrei crederci. A me pare un gesto inopportuno, come se lo Stato italiano non desse già un mucchio di dindi per il sostentamento del clero.

Padronissimi i militanti di distillare secondo ragione e sentimento il messaggio che "Fausto" dà al suo partito. I mezzi retorici e le nuances dei distinguo le hanno in abbondanza.

Se a costoro (e non sono pochi) la genuflessione costante (e per puro calcolo) alla Chiesa Cattolica di un'intera classe politica che ormai perpetra solo se stessa appare argomento da Novella 2000 temo allora di non poter nemmeno avvicinarmi ai temi seri. Da far tremar le vene e i polsi.

Vattimo, povero erede dell'antisemitismo dotto di oggi!
Bertinotti, così signore da tenere il fatto tutto per sé!

Vorrei essere così ingenua, così dedita al gossip.


STORIA DI UN ODIOSO BOICOTTAGGIO
Giulio Meotti per Il Velino.it

Nessuno stato o comunità scientifica ha mai subito un simile fuoco cultural-ideologico. Neppure nel periodo più cupo e sanguinario della Guerra Fredda si è mai pensato di interrompere le relazioni scientifiche con l’Urss. I primi fuochi inglesi di boicottaggio accademico contro lo stato d’Israele si registrarono nel 2002.
Allora il biologo antisionista Steven Rose pubblicò sul Guardian un appello contro i centri di ricerca dello stato ebraico. A Manchester, la professoressa Mona Baker licenziò due studiosi israeliani da ogni incarico ricoperto nelle riviste di linguistica che essa dirige. Un anno e mezzo fa la più grande organizzazione inglese di insegnanti, composta da oltre 60 mila membri, approvò il boicottaggio contro Israele e le sue “politiche da apartheid”. Il rettore dell’università BarIlan, fra le più bersagliate dalla propaganda, parlò di “terrorismo accademico”.

Questo fuoco ideologico e odioso contro lo stato ebraico adesso arriva in Italia: si vuole impedire che la voce di Israele e dei suoi scrittori si faccia sentire alta e viva alla Fiera del Libro di Torino. Il matematico Ronnie Fraser ha detto che il boicottaggio è figlio di una “mentalità razzista”. Nel marzo 2007, 130 medici britannici avevano proposto di boicottare la Israel Medical Association, chiedendone l’espulsione dalla World Medical Association. S’era poi accodata un’associazione di architetti.

Ad aprile il sindacato nazionale dei giornalisti britannici aveva deciso di boicottare tutti i prodotti made in Israel. “Un insulto all’intelligenza”, l’hanno definito alcuni dei più autorevoli corrispondenti da Gerusalemme: “Se i giornalisti volessero veramente boicottare i prodotti israeliani dovrebbero rinunciare ai loro cellulari e computer portatili, giacché tutti questi prodotti contengono componenti prodotte in Israele”.

In risposta al boicottaggio degli atenei israeliani da parte di docenti, medici, giornalisti, architetti e anglicani di Gran Bretagna, il premio Nobel della fisica, Steven Weinberg, rispedì al mittente l’invito per una conferenza da tenere a luglio all’Imperial College di Londra. “So che qualcuno sosterrà che questo genere di boicottaggi sono rivolti solo contro Israele e non contro gli ebrei – scrisse nella lettera al college – Ma vista la storia degli attacchi contro Israele, la natura ferocemente repressiva e aggressiva di altri paesi in Medio Oriente e altrove, boicottare Israele denota una cecità morale per la quale è difficile trovare una spiegazione diversa dall’antisemitismo”.

Weinberg è ora fra i promotori della speciale iniziativa degli Scholars For Peace in the Middle East: “Siamo accademici, studiosi e ricercatori professionisti di diverse vedute religiose e politiche. A dimostrazione della nostra solidarietà con i colleghi dell’accademia israeliana, noi sottoscritti ci dichiariamo accademici israeliani. Considerandoci accademici israeliani, eviteremo di partecipare a qualunque attività dalla quale fossero esclusi gli accademici israeliani”.

Il boicottaggio contro Israele non è virtuale. Nel 2002, anno di inizio della campagna, Paul Zinger dell’Associazione scientifica d’Israele disse al Sunday Telegraph che più di settemila ricerche scientifiche vengono mandate da Israele all’estero ogni anno. Nel 2002 la maggior parte tornarono indietro con la motivazione: “Ci rifiutiamo di esaminare i documenti”. Citandone solo uno, Oren Yiftachel dell’Università Ben Gurion, si è visto rifiutare una ricerca con una nota che lo informava che il giornale, il Political Geography, non accettava niente che provenisse dallo stato degli ebrei.

Il controboicottaggio è sottoscritto da oltre diecimila accademici degli Stati Uniti e di altri paesi, tra cui l’Italia. Indetta da Weinberg e dal giurista di Harvard Alan Dershowitz, la petizione porta la firma di 32 premi Nobel, dal fisico Alexei Abrikosov all’economista Kenneth Arrow, e di 50 rettori universitari. Edward Beck, presidente di Scholars for Peace in the Middle East, parla della risposta a “un vergognoso gesto anti-intellettuale”. Dershowitz spiega che secondo “questa ideologia razzista, lo stato ebraico è puro aggressore. I boicottatori aderiscono al principio di autodeterminazione, eccetto che per gli ebrei.

Sono oltraggiati dalla natura ebraica dello stato d’Israele, ma non sanno cosa dire su quella islamica dell’Iran e della Arabia Saudita. Sono indifferenti alla sofferenza ebraica, ma sono sensibili a quella dei non ebrei. Gli antisemiti abbracciano l’antisionismo per coprire il loro odio verso gli ebrei. La battaglia contro il boicottaggio è l’aspetto più urgente della guerra contemporanea contro l’antisemitismo”.

A Judea Pearl, il padre del giornalista del Wall Street Journal sgozzato in Pakistan, l’infame boicottaggio ne ricorda un altro. “Nel 1934 un volume di Nature, principale rivista scientifica britannica, conteneva due lettere dello scienziato tedesco Johannes Stark, premio Nobel della fisica, in cui spiegava ai colleghi inglesi perchè i professori ebrei dovevano essere cacciati dalle università tedesche. È istruttivo leggere queste lettere per ricordare”. Dopo aver difeso la libertà di parola nelle aule di tribunale, Alan Dershowitz guida ora un’eclatante protesta contro la “sindrome Lawrence d’Arabia” delle elite occidentali che accusano Gerusalemme di “apartheid” e chiudono gli occhi su quanto avviene in un blocco arabo 676 volte più grande di Israele.

Elite dalle quali non si è mai levato un attacco al Sudan per le stragi nel Darfur, contro l’occupazione maoista del Tibet, lo Zimbabwe di Robert Mugabe, il Myanmar che incarcera i dissidenti, la Corea del Nord da cui svaniscono cristiani e handicappati, l’Iran che scatena ronde oscurantiste nei campus o l’Arabia Saudita che esporta l’odio contro gli “apostati”. Hanno invece scelto di esecrare e isolare uno stato minuscolo, che copre lo 0,0001 per cento della superficie terrestre, grande quanto il New Jersey e i cui abitanti ammontano a un millesimo della popolazione mondiale, ma che, stando al rapporto annuale di Freedom House, è uno degli stati più liberi e democratici del mondo. Lo stato degli ebrei. E questo è il problema. È il problema dei boicottatori di Torino.
[B]
[P.s. B, il Toradol è fuori commercio. Arrangiati]

lunedì 4 febbraio 2008

L’aliBi perfetto

Riconosciamolo: Berlusconi è una manna dal cielo, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo! Da anni lo additiamo come la personificazione del conflitto di interessi e da altrettanti anni non si riusciamo a mettere in piedi una normativa decente sull’argomento. I partiti del centrodestra si dispiegano a testuggine appena ne sentono parlare e quelli del centrosinistra fanno la faccia feroce e poco più: in fondo non è democratico contrastare il capo dell’opposizione con questi mezzucci... che incredibile mancanza di fair play!
Migliaia di portatori di conflitti di interesse – di ogni colore e sconosciuti ai più- ringraziano commossi, augurando lunga vita e prosperità al Sig. B. Sono quelli che siedono in decine di consigli di amministrazione contemporaneamente, oppure sono creditori di imprese di cui vendono i prodotti finanziari, magari magnificandone le doti agli ignari risparmiatori, oppure sono nel CdA di società partecipate dagli enti locali che predispongono appalti a cui partecipano società di cui –quando il caso dice la combinazione – i suddetti consiglieri sono azionisti e via così.
In questo groviglio tutti sguazzano e senza trovarci nulla di strano, coperti dall’ombrello del Signor B. l’aliBi perfetto: non vale per lui, non vale per noi e viceversa. E’tanto vero che il 28 dicembre 2007 il Consiglio dei Ministri ha nominato il Dottor Corrado Calabrò Presidente aggiunto del Consiglio di Stato (www.governo.it sezione comunicati stampa). Niente di strano se il Nostro non fosse anche Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, le cui decisioni si impugnano davanti al TAR in primo grado e al Consiglio di Stato in appello...
Controllato e controllore coincidono, ma sembra che né chi nomina né chi è nominato vi facciano caso e di fronte alle prime manifestazioni di perplessità non giunge l’assicurazione che a uno dei due incarichi si è rinunciato, ma che ai sensi della normativa vigente non vi è incompatibilità.
Constatata per l’ennesima volta la sciatteria del legislatore, c’è bisogno di una normativa ad hoc per affermare che giudice e parte in causa non possono coincidere se il primo è il Consiglio di Stato e la seconda un’Autorità indipendente?

Signor B., lunga vita e prosperità....