Il Senato intende sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Cassazione se questa fosse chiamata a decidere sulla eventuale impugnazione del provvedimento della Corte di Appello di Milano che ha consentito la sospensione della nutrizione e idratazione artificiale nei confronti di Eluana Englaro, poiché rivendica il diritto di legiferare in materia.
Al di là della scempiaggine giuridica della richiesta (da notare che il provvedimento della Corte di Appello si basa su una sentenza della Cassazione che ha stabilito i principi a cui doveva attenersi sulla base di una rigorosa disamina delle norme costituzionali), colpisce l’assurdità di un Senato composto non da prescelti dal popolo per meriti e capacità, ma di raccomandati nominati dal principe con l’unico requisito del servilismo, che rivendica le proprie (presunte) prerogative contro i cittadini.
Un Senato che ha abdicato alla propria funzione, limitandosi ad essere un fedele esecutore della volontà del capo del governo e dei capi partito, senza un sussulto, nemmeno di fronte alle proposte più sconce e che tuttavia si rammenta di essere un potere dello Stato quando può usare violenza su una giovane donna inerme, protetta soltanto dall’amore infinito di un padre.
Infinito, perchè sa rinunciare a lei per salvarne la dignità e rispettarne le più intime convinzioni, nel rispetto della sua libertà di coscienza.
Davanti a un simile gesto la politica che ha assistito indifferente all’agonia di Welby e alla sofferenza di tante altre persone sconosciute che chiedevano soltanto rispetto, deve soltanto tacere e imparare cosa sia la dignità della propria funzione.
Ma come tutti i vili, forti coi deboli e deboli coi forti, pretende di esercitare il diritto di vita e di morte sulle nostre vite, anche se non sa neppure avere rispetto di sé.
Per quanto ancora vorremo sopportare l’arroganza di chi impone i propri opinabili principi quando a pagarne le conseguenze sono gli altri, di chi si lava la coscienza (sporca) sulla pelle altrui, dei servi che non tollerano che persone libere possano mostrarne la pochezza e la meschinità?
[M]
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4786&ID_sezione=&sezione=
venerdì 18 luglio 2008
IUS VITAE AC NECI
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venerdì 20 giugno 2008
petizione internazionale contro le discriminazioni
Toscana-Europa e QuiPSE lanciano una petizione internazionale contro le discriminazioni
Firenze capitale d'Europa dell'inclusione e della tolleranza
Firma la petizione su http://www.quipse.eu/index.php?option=com_joomlapetition&func=viewcategory&Itemid=&catid=1
Firenze capitale d'Europa dell'inclusione e della tolleranza
Gli eurodeputati Guido Sacconi e Michael Cashman chiedono alla Commissione europea di rispettare gli impegni. Appuntamento a Firenze sabato 21 alle 18.30 in Piazza Poggi (Lungarno Cellini)
Firenze (16.06.08) - Firenze capitale d'Europa dell'inclusione sociale e della tolleranza. Questo è l'obiettivo che gli organizzatori della manifestazione che sabato 21 giugno vedrà presenti a Firenze in Piazza Poggi (a margine della notte bianca) Michael Cashman, l’eurodeputato inglese Guido Sacconi e Francesca Chiavacci. Occasione: il lancio della petizione internazionale -promossa dal gruppo liberaldemocratico e da quello socialista al Parlamento Europeo- contro ogni discriminazioni per età, disabilità, credo religioso ed orientamento sessuale.
Obiettivo, impegnare la Commissione europea ad emanare la promessa e mai realizzata Direttiva in questione .
Ed anche Firenze vuole fare la sua parte.“Candidiamo la nostra città ad essere capitale dello sviluppo civile e dell'inclusione sociale; motore di una serie di iniziative volte a diffondere la cultura delle differenze e l'integrazione tra identità, culture, popoli e religioni diverse” ha dichiarato uno degli organizzatori, Giuliano Gasparotti.
L'appuntamento é per le 18.30 presso le ex Rime Rampanti, in piazza Poggi, sabato 21 giugno.
L'iniziativa "Tutti i colori dell'uguaglianza" Da Firenze all'Europa contro ogni discriminazione” è promossa da Toscana-Europa e QuiPSE (la sezione toscana del PSE) ed ha avuto l’adesione finora di PD, Italia dei Valori, ARCI, Ireos, ANPI, ed il patrocinio del Quartiere 1 .
Molte le adesioni, che vanno ben oltre il solo campo della sensibilità politica democratica e socialista. Da esponenti delle associazioni omosex del mondo LGBT (Alessio de Giorgi, Mirco Zanaboni, Roberta Vannucci) al mondo istituzionale (Daniela Lastri, Stefano Marmugi e Stefania Collesei) e politico (Andrea Barducci, Giacomo Billi, Michele Morrocchi), da quello economico (Luca Mantellassi) a quello accademico (i docenti universitari Attila Tanzi e Chiara Rapallini). Saranno presenti anche il segretario della CGIL fiorentina Mauro Fuso ed esponenti dell'ANPI.
Al completo, all'iniziativa, anche tutti i presidenti dei cinque Quartieri fiorentini.
Una grande mobilitazione, quindi, perché il presidente Barroso rispetti gli impegni presi nel 2004, all'indomani dell'incresciosa bocciatura di Buttiglione al Parlamento europeo. Impegni che ad oggi rimangono lettera morta, visto che nel progetto di Direttiva (la Direttiva Orizzontale) è prevista solo la discriminazione per i portatori di handicap.
Da Firenze e dall'Italia parte un segnale politico forte e corale affinché le istituzioni europee siano in prima linea nella battaglia per l'affermazione dei diritti dell'uomo e dei valori di diversità e tolleranza.
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lunedì 16 giugno 2008
SOS pillola del giorno dopo
http://www.lucacoscioni.it/sos_pillola_del_giorno_dopo
Silvio Viale:
NOTA SULLA CONTRACCEZIONE DI EMERGENZA PER I GIORNALISTI
“Leggo su alcuni quotidiani, a volte con tanto di schemi illustrativi allegati, che la contraccezione di emergenza agirebbe bloccando l’impianto in utero dell’ovulo fecondato. Non è così. La contraccezione di emergenza, più nota come “pillola del giorno dopo” (sarebbe meglio dell’ora dopo), non agisce sull’ovulo fecondato e tanto meno agisce impedendone l’impianto. Essa, come tutti i contraccettivi ormonali, agisce in fase pre e peri-ovulatoria impedendo la penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo. Ovviamente, se viene assunta in tempo, poiché l’efficacia dipende dalla distanza tra il rapporto e l’ovulazione.
Contrariamente a quanto molti credono, non si rimane incinta al momento del rapporto, ma nei giorni successivi, quando ci sarà l’ovulazione. Di solito, quando c’è l’ovulazione gli spermatozoi sono già lì in agguato. E’ in questo intervallo che agisce la contraccezione di emergenza, cioè un progestinico come il levonorgestrel.
La conseguenza è che l’efficacia diminuisce con il ritardo di assunzione passando dal 95 % a 12 ore a circa il 60 % a 72 ore, mantenendo un’efficacia minore fino a 120 ore. Cinque giorni è infatti la durata della finestra fertile, che sarebbe opportuno pubblicare più spesso.
Per quanto riguarda l’ipotesi teorica del concorso di altri meccanismi, le modificazioni evidenziate sull’endometrio non sono tali da impedire l’annidamento, che avviene 8-12 giorni dopo il rapporto, ma al contrario potrebbero addirittura favorirlo. Se la pillola viene assunto quando si è già formato l’ovulo fecondato, la contraccezione di emergenza è innocua e inefficace, non potendo più influire sul destino dell’ovulo fecondato.
Una dimostrazione indiretta viene dal fatto che dosi ripetute di levonorgestrel non aumentano l’efficacia e che per procurare l’aborto sono stati utilizzati farmaci antiprogestinici (Ru486), antiestrogeni (tamoxifene), antifolici (metotrexate) e prostaglandine, nelle fasi iniziali persino un siero anti-HCG, ma non estrogeni e, soprattutto, mai progestinici come il levonorgestrel.
Una dimostrazione diretta viene dagli studi sulle scimmie e sui topi, non potendo eseguirli per motivi etici sulle donne, i quali confermano l’assenza di efficacia sull’ovulo fecondato.
Le evidenze sono tali che, nel 2005, il Dipartimento di Salute Riproduttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scritto che “la contraccezione di emergenza con levonorgestrel ha dimostrato di prevenire l’ovulazione e di non avere alcun rilevabile effetto sull’endometrio (la mucosa uterina) o sui livelli di progesterone, quando somministrata dopo l’ovulazione”, escludendo quindi un effetto intercettivo su un eventuale ovulo fecondato.
Da un punto di vista medico la contraccezione di emergenza è classificata “senza limitazioni di uso” dall’OMS, che l’ha inserita nella lista dei farmaci essenziali. La sua efficacia è minore degli ordinari contraccettivi ormonali, per cui rimane un ripiego occasionale, ma l’unico in grado di ridurre il rischio di una gravidanza indesiderata.
Da un punto di politica sanitaria, deve essere assunta al più presto, possibilmente entro 12-24 ore dal rapporto considerato a rischio. Per questo motivo in buona parte dei paesi europei è stata abolita la necessità di ricetta, negli USA l’abolizione della ricetta nel 2006 è stata difesa addirittura dal Presidente Bush. Inoltre non è considerata abortiva da molti paesi sudamericani ove l’aborto è vietato.
In sintesi, si può affermare che la CE soddisfa pienamente tutti i criteri che caratterizzano un “prodotto da banco”: tossicità molto bassa, nessun rischio di sovra dosaggio, nessuna dipendenza, nessuna necessità di accertamenti medici, né di monitoraggio della terapia, non significative controindicazioni mediche, non teratogeno, facile identificazione del bisogno, semplice da usare, dosaggio preciso, nessuna interazione farmacologica di rilievo, nessun pericolo in caso di assunzione impropria e minime conseguenze in caso di uso ripetuto, o ravvicinato nel tempo. Non vi è quindi alcuna ragione per mantenere la ricetta.
In conclusione, ritengo scorretto che, per pigrizia o per scelta, si continui a riportare sui giornali che la contraccezione di emergenza agisca impedendo l’annidamento dell’ovulo fecondato in utero, pensando magari che, così, non sia più da considerare abortivo solo perché la gravidanza inizia con l’annidamento in utero. Mi auguro che su questi temi vi sia più attenzione, evitando di darvi rilievo solo quando ne parla il Papa, finendo per avllare le sue tesi su un embrione fantasma.”
Silvio Viale
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lunedì 26 maggio 2008
Un giudice a Roma?
Per chi crede che non sia necessario arrivare a Berlino per avere un giudice, segnaliamo e riportiamo il ricorso di un cittadino italiano alla Corte Costituzionale a proposito della legge elettorale, sottratta a qualsiasi sindacato di costituzionalità per via ordinaria.
Il ricorso sarà discusso il 9 luglio.
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE
dell’on. avv. Felice Carlo Besostri (C.F. BSS FCC 44D23 M172R), di Milano, cittadino elettore, iscritto alle liste elettorali del Comune di Milano (doc. 1), che si difende in proprio quale avvocato abilitato alle magistrature superiore, elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. GianMarco Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46
premesso
- che ha partecipato in proprio e quale difensore di altri soggetti ammessi ai giudizi di ammissibilità di referendum abrogativi parziali del DPR 30.03.1957 n. 361 e del D.Legislativo 20.12.1993 n. 533, di cui si allega quella in cui era presente in proprio (doc. 2);
- che i sopraddetti giudizi si sono conclusi con le sentenze nr. 15, 16 e 17 del 16 gennaio – 30 gennaio 2008;
- che la Corte Costituzionale non ha ritenuto di seguire la Bundesverfassungsgericht, che con la nota sentenza Beschluss 22.05.1963, 2BvC 3/62, BVerfGE16/130 ha ritenuto che anche nel procedimento di verifica elettorale (Wahlprüfungsverfahren), benché non previsto dalla legge, avesse la competenza ad esaminare la costituzionalità della legge elettorale, che era chiamata ad applicare su ricorso contro una decisione del Bundestag;
- che, infatti, la Corte ha statuito: “6. – Questa Corte ha escluso – ancora in tempi recenti ed in conformità ad una costante giurisprudenza – che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta (sentenze numeri 45, 46, 47 e 48 del 2005); «ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005)” (sentenza nr. 15/2008);
- e parimenti “6. – Questa Corte ha escluso – ancora in tempi recenti ed in conformità ad una costante giurisprudenza – che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta (sentenze numeri 45, 46, 47 e 48 del 2005); «ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005)” (sentenza nr. 16/2008);
- che, tuttavia, a fronte delle argomentate opinioni espresse da illustri costituzionalisti quali i professori Vittorio Angiolini, Massimo Luciani e Costantino Murgia, ha tuttavia incidentalmente lanciato un avvertimento sia nella sentenza n. 15 che nella 16 del 2008;
- che, infatti, si legge che “L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi” (sent. Nr. 15/2008) e che “L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento, sia pure a livello regionale, di una soglia minima di voti e/o di seggi” (sentenza nr. 16/2008);
- che per prendere le decisioni in merito alla legge elettorale tuttavia occorreva che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi” (sent. 15/2008) e che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi” (sent. 16/2008);
- che, confidando che sulla base di così autorevole opinione si sarebbe trovato un giudice a Berlino (rectius a Roma!), tre cittadini elettori, gli avv. Prof. Giuseppe Bozzi di Roma, Aldo Bozzi di Milano e Giuseppe Porqueddu di Brescia, hanno promosso un ricorso innanzi al TAR Lazio (doc. 3);
- che l’avv. Besostri, al pari dell’on. dr. Domenico Gallo, magistrato presso la Suprema Corte di Cassazione, ha deciso di intervenire ad adiuvandum nel ricorso r.g. 1616/2008, assegnato alla sezione II bis (doc. 4);
- che il ricorso si è concluso con la sentenza n. 1855/2008 del 27.02.2008 (doc. 5), che ineffabilmente ha statuito che per rispetto della autodichia del Parlamento non vi era competenza del giudice amministrativo, né di quello ordinario, bensì delle Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge elettorale di dubbia costituzionalità;
- che tale sentenza non ha potuto indicare né una norma regolamentare del Parlamento o del procedimento di verifica (sub regolamento parlamentare), né alcun precedente in cui si sia esaminato un ricorso di elettore prima delle elezioni contro i provvedimenti attuativi della legge elettorale, e non di liste non ammesse, di candidati non ammessi o non proclamati ovvero di elettori contro candidati proclamati;
- che la sentenza ha ignorato che non vi sono precedenti, che consentono di ritenere che le Giunte delle elezioni siano giudici che possono promuovere un giudizio incidentale di costituzionalità;
- che d’altra parte vi è il dubbio che la Giunta delle Elezioni possa essere considerato Giudice terzo in una questione che mette in discussione la maggioranza, di cui è stata espressa. Un giudice in causa propria ha l’obbligo di astenersi ai sensi dell’art. 51 cpc;
- che contro la sentenza del TAR Lazio i ricorrenti hanno interposto tempestivo appello (doc. 6) e l’avv. Besostri si è costituito (doc. 7), che altrettanto tempestivamente è stato deciso dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 1053/08 del 11-13 marzo 2008 (doc. 8);
- che tale sentenza ha ugualmente ritenuto inammissibile il ricorso in quanto la convocazione dei Comizi elettorali è atto inimpugnabile quale atto politico;
- che tale decisione ha comunque spazzato via la sentenza del TAR Lazio, aprendo, peraltro, un ben più grave problema: se l’atto di convocazione dei comizi è atto inimpugnabile, in quanto atto politico, lo stesso ben potrebbe convocare i comizi per data successiva al termine massimo previsto dall’art. 61, c. 1 Costituzione;
- che il problema si è posto con l’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1744/08 del 1 aprile 2008 per ricorso r.g. 2421/2008 (doc. 9), con la quale si è sospeso il provvedimento di diniego di registrazione/ammissione del simbolo della Democrazia Cristiana di Pino Pizza;
- che tale Ordinanza appare ineccepibile sia per la portata dell’art. 66 (Corte Costituzionale sent. 117/06), sia sotto il profilo della giurisdizione (CGA Ord. 218/2006);
- che il ventilato spostamento della data delle elezioni ha suscitato reazioni eccitate per violazione dell’art. 61 Cost.: se il decreto di convocazione dei comizi è atto politico, nessuna violazione dell’art. 61 Cost. potrebbe essere eccepita;
- che le decisioni della Magistratura amministrativa appaiono in contrasto con gli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che grazie all’art. 10, c. 1 e 117 c. 1 Cost. sono state incorporate nel nostro ordinamento costituzionale (Corte Costituzionale, sentenze nr. 348 e 349 del 24 ottobre 2007), oltre che degli artt. 24, 103, 111, 113 e 137 Cost.;
tutto ciò premesso
ritenuto
- che l’Italia è un paese con forma di governo parlamentare razionalizzato;
- che in Italia “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, c. 2 Cost.);
- che tutti i poteri dello Stato derivano dal popolo direttamente, come in Parlamento, o indirettamente quando sono eletti dal Parlamento (Capo dello Stato) o al Parlamento rispondono (Governo);
- che persino il potere/ordine indipendente (potere giudiziario - Magistratura) emette le sue sentenze in nome del popolo italiano;
- che l’espressione più alta della partecipazione è costituita dal procedimento elettorale;
- che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”(art. 67 Cost.) e, pertanto, se vuole rappresentare la nazione, il mandato gli deve essere conferito attraverso un procedimento elettorale conforme a Costituzione: è importante sottolineare che la rappresentanza della Nazione spetta ad ogni membro del Parlamento e non all’organo parlamentare. Alla stessa stregua la Nazione è rappresentata dal corpo elettorale e da ogni membro dello stesso;
- che l’esercizio della sovranità presuppone che la legge elettorale sia conforme alla Costituzione, altrimenti non sarebbe esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione;
- che il corpo elettorale, al pari del Parlamento, del Governo e del Capo dello Stato debba essere qualificato come organo costituzionale (Mauro Volpi in Diritto Pubblico Comparato, Giappichelli, Torino, 2007, pag. 369);
- che la sovranità è indivisibile e pertanto quella in capo al popolo appartiene al singolo elettore come appartenente al corpo elettorale;
- che l’art. 66 Cost. deve essere di stretta interpretazione, affinché l’autodichia del Parlamento non leda altre disposizioni costituzionali in particolare quelle dei diritti fondamentali, quali sono gli artt. 48, 49 e 51, nonché 24 della Cost.;
- che le disposizioni invocate a suffragio dell’estensione della competenza delle Giunte per le elezioni, quali l’art. 87 del D.P.R. 361/1957 e l’art. 27 del D.Lgs. 533/1993, per la loro natura e collocazione nella gerarchia delle fonti, inidonee ad interpretare/integrare l’art. 66 della Costituzione;
- che in particolare la situazione per la quale non vi sia un Giudice precostituito per legge competente ad esaminare un ricorso di cittadino elettore avverso, sia pure mediatamente attraverso l’impugnazione di un atto amministrativo, proposto prima delle elezioni al fine di poter esercitare il proprio diritto di voto in conformità alla Costituzione, costituisce lesione grave di principi elementari di ogni Stato di diritto e massimamente in un ordinamento di tipo parlamentare, quale è la Repubblica italiana;
tutto ciò premesso e ritenuto
l’on. avv. Felice C. Besostri promuove conflitto di attribuzione nei confronti dell’ordine giudiziario e del Parlamento, per affermare il proprio diritto costituzionale, quale componente dell’organo costituzionale “corpo elettorale”, di poterlo esercitare nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè di poter votare con una legge elettorale conforme a Costituzione e a tutela di questo diritto di poter avere un giudice precostituito per legge, che possa decidere del caso ovvero rimettere la questione alla Corte Costituzionale, unico organo competente a statuire sulla legittimità costituzionale della legge elettorale.
Allo stato abbiamo un conflitto di attribuzione negativo, in quanto la Magistratura si dichiara incompetente ed il Parlamento non ha mai affermato una tale competenza.
Nelle sentenze citate la magistratura amministrativa in primo grado ha risolto la questione come un problema di giurisdizione, ma affermando l’autodichia del Parlamento in realtà ha attribuito una competenza mai rivendicata e perciò in violazione dell’autodichia ha attribuito una competenza al Parlamento senza il suo consenso. L’autodichia si viola sia arrogandosi competenze del Parlamento, ma anche attribuendo al Parlamento competenze dallo stesso mai rivendicate e regolamentate.
In questa sede si sono volutamente tralasciate le questioni di merito costituzionale della legge elettorale vigente, che riguardano principalmente l’attribuzione del premio di maggioranza e le liste bloccate per violazione dell’art. 48, c. 2, sul voto uguale e gli artt. 56, c. 1 e 58, c. 1 sul voto diretto: i parlamentari eletti grazie al premio di maggioranza, non vincolati ad alcun quorum, non sono direttamente eletti bensì indirettamente da un meccanismo premiale incostituzionale.
Il ricorrente è consapevole della novità del presente ricorso, ma già la sua ammissibilità farebbe venir meno la violazione degli artt. 6 e 13 della C.E.D.U. con il rischio di una condanna, l’ennesima, dello Stato italiano.
L’ammissione di un ricorso individuale, sia pure limitatamente all’esercizio del proprio diritto ad un procedimento elettorale conforme a Costituzione, colmerebbe altresì la lacuna dell’inesistenza di un accesso diretto alla Corte Costituzionale.
Si pensi al fatto che sono stati ammessi simboli elettorali con la qualifica di “Presidente” accanto al nome del capo politico (art. 14 bis DPR 361/1957) della lista o della coalizione in spregio dell’art. 92 Cost. e delle conseguenti prerogative del Capo dello Stato, Presidente della Repubblica, senza che ci fosse una reazione a tale gravissimo fatto. In forza dell’orientamento della Magistratura l’organo competente a reagire sarebbero le Giunte delle Elezioni delle Camere elette, compresi i membri di quelle liste con contrassegno non conforme alla Costituzione.
Soltanto con l’ammissione si porrebbe rimedio ad una grave lacuna del nostro ordinamento, a prescindere dalla decisione di merito e si darebbe la possibilità alla Corte, come da essa auspicato, di poter essere investita nelle forme ordinarie del giudizio di costituzionalità della legge elettorale vigente, nonché di quella risultante dai quesiti referendari ammessi con le sentenze 15 e 16 del 2008.
In questa sede l’elettore rivendica l’attribuzione della funzione di esercizio del diritto di voto in modo conforme alla Costituzione. Nessun altro organo costituzionale o potere dello Stato può esercitare questa sua funzione né impedirgli di esercitarla in modo conforme alla Costituzione negando di diritto e di fatto l’accesso alla Corte Costituzionale attraverso la forma ordinaria di accesso, vale a dire quale questione incidentale nel corso di un giudizio instaurato.
Si producono i documenti partitamente citati dal nr. 1 al nr. 9:
1) certificato di iscrizione alle liste elettorali;
2) memoria Corte Costituzionale di “Per la Sinistra”;
3) ricorso TAR Lazio, sez. 2B, r.g. 1616/08 promosso dagli avv.ti Bozzi e Porqueddu;
4) intervento ad adiuvandum dell’on. avv. Felice C Besostri nel ricorso al TAR Lazio, sez. 2B, r.g. 1616/08;
5) sentenza TAR Lazio n. 1855/08;
6) Appello al Consiglio di Stato Bozzi e Porqueddu;
7) Memoria avv. Besostri innanzi al Consiglio di Stato
8) sentenza Cons. Stato n. 1053/08;
9) ordinanza Cons. Stato, sez V, n. 1744/08.
Con osservanza.
Milano/Roma, 7 aprile 2008
on. avv. Felice C. Besostri
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venerdì 9 maggio 2008
COCCODRILLI IN CAMICIA VERDE
Dopo l’omicidio di Verona abbiamo assistito al solito caravanserraglio di dichiarazioni, attribuzioni etc. Non poteva mancare il Sindaco della città, che ha invocato, anzi preteso, pene esemplari per quelli che ha definito come balordi, che nulla hanno a che fare con la politica. Ennò, signor sindaco, i “balordi” hanno molto a che fare con la politica, soprattutto con la politica di quelli come lei.
Si dà il caso che la Lega costruisca il suo messaggio politico sulla difesa strenua delle specificità locali, avulse e intoccabili dal mondo circostante, su un linguaggio e su azioni che se non si risolvono in pestaggi non sono per questo meno violente (ve lo ricordate Borghezio che derattizzava le nigeriane in treno?), su una visione tribale della società in cui rispetto e eticità dei comportamenti riguardano solo i componenti del clan, il resto è estraneo e nemico. Certo il Sindaco sostiene che, per esempio, non è vero che loro non vogliono gli immigrati, anzi li trattano benissimo se si integrano, ma a ben vedere non è il rispetto dell’umanità che li muove, ma la sapienza contadina per cui un animale da soma se è nutrito a dovere lavora di più e se non serve lo si manda al macello.
Ci stupiamo che in questo clima di vero relativismo etico (quello su cui la Chiesa non parla mai) in cui l’etica, cioè, è relativa all’appartenenza o no al clan, maturino certi fatti e atteggiamenti criminali?
D’altronde che chi non si adegua alle regole del clan debba essere punito il signor Sindaco non si è fatto scrupolo di dimostrarlo, ad esempio con il progetto di provvedimento che per l’iscrizione agli asili comunali attribuiva un punteggio dimezzato ai figli di separati rispetto a quelli di genitori non separati: un vero sopruso ai danni dei più indifesi e davvero un bell’esempio per la gioventù veronese! Se sono le istituzioni per prime a lanciare il messaggio che è lecito umiliare, offendere e angariare chi non ha per scelta o per necessità lo stile di vita “dominante” o è fuori dal clan, che cosa si può pretendere?
Pene severe lo diciamo anche noi, ma insieme ai cinque balordi, mettiamoci anche il Sindaco e quelli come lui e buttiamo la chiave!
http://progettoverona.wordpress.com/2008/05/08/asili-nido-a-verona-ce-posto-per-chi-il-dibattito/
martedì 6 maggio 2008
ATTICISMO MILITANTE
clicca sulle immagini per visualizzarle meglio
Stefano Disegni, dall'inserto satirico de L'Unità del 5 maggio
(e la sinistra fu...ma a me pare che gli atticisti fossero così da sempre).
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è la monnezza, bellezza!
Ci siamo, procediamo...
IP/08/705
Bruxelles, 6 maggio 2008
La Commissione procede contro l'Italia sulla gestione dei rifiuti in Campania e nel Lazio
La Commissione europea prosegue la sua azione a carico dell'Italia in due casi di violazione della legislazione UE sulla protezione della salute umana e dell'ambiente contro i rischi derivanti dai rifiuti. La Commissione si accinge ad adire la Corte di giustizia delle Comunità europee contro l'Italia in merito all'emergenza rifiuti a Napoli e in Campania. Si appresta inoltre a inviare all'Italia un primo avvertimento scritto per la mancata esecuzione nel Lazio della sentenza con cui la Corte di giustizia ha sancito che l'Italia è venuta meno all'obbligo di adottare piani regionali di gestione dei rifiuti. Nel secondo caso, se l'Italia non si conformerà, la Commissione ha il potere di chiedere alla Corte l'imposizione di ammende.
Il commissario per l'ambiente Stavros Dimas ha dichiarato al riguardo: "Le montagne di rifiuti non raccolti accumulatisi per le strade della Campania illustranno emblematicamente le minacce per l'ambiente e per la salute umana risultanti da una gestione inadeguata dei rifiuti. Occorre che l'Italia dia priorità all'elaborazione di piani efficienti di gestione dei rifiuti in Campania e nel Lazio, nonché alla realizzazione delle infrastrutture di raccolta e di trattamento necessarie per attuarli correttamente."
Il caso della Campania deferito alla Corte di giustizia
Il caso riguarda la drammatica emergenza rifiuti che ha colpito Napoli e la Campania. Nel corso della primavera 2007 i rifiuti non vennero raccolti per settimane, il che costrinse alla chiusura delle scuole per motivi sanitari e spinse gli abitanti frustrati a mettere fuoco ai sacchi di immondizia accumulatisi per le strade. I rifiuti non raccolti e i roghi hanno rappresentato una grave minaccia per la salute e per l'ambiente, a causa della propagazione di malattie e dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo. La Commissione ha di conseguenza avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia nel giugno dello scorso anno per violazione della direttiva quadro UE relativa ai rifiuti[1] (cfr. IP/07/935)
La situazione si è ripetuta nel dicembre 2007 e la Commissione ha reagito inviando un ultimo avvertimento il 1° febbraio 2008, dando all'Italia un mese di tempo per rispondere, data l'urgenza della crisi (cfr. IP/08/151). In febbraio la Commissione ha effettuato una missione di accertamento a Napoli e nelle zone circostanti. Agli inizi di marzo è pervenuta la risposta dell'Italia.
Anche se l'emergenza si è ridotta negli ultimi tempi, grazie alla rimozione dei rifiuti dalle strade seguita alla nomina di un nuovo Commissario di governo per l'emergenza rifiuti in Campania, la Commissione ritiene che le misure adottate non siano adeguate per risolvere nel lungo periodo il problema dei rifiuti nella regione e impedire il ripetersi dei fatti inaccettabili verificatisi lo scorso anno. Un nuovo piano di gestione dei rifiuti per la Campania è stato adottato alla fine del dicembre 2007, ma alla Commissione risulta che il precedente piano, adottato più di un decennio fa, non è stato mai correttamente attuato.
La Campania è lungi dal poter creare un sistema di gestione efficiente che consenta la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, le autorità italiane si sono rivelate incapaci di indicare un calendario chiaro per il completamento e la messa in servizio degli impianti di selezione, delle discariche, degli incineratori e delle altre infrastrutture necessarie per risolvere i problemi dei rifiuti che affliggono la regione.
La Commissione ha pertanto deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee per la mancata osservanza della direttiva quadro sui rifiuti. La direttiva impone, tra l'altro, agli Stati membri di assicurare che i rifiuti vengano raccolti o smaltiti senza pericolo per la salute umana, di vietare l'abbandono o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti e di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento.
Per il Lazio manca il piano di gestione dei rifiuti
La Commissione si accinge a inviare all'Italia una prima lettera di avvertimento ai sensi dell'articolo 228 del trattato in merito alla mancata adozione da parte della Regione Lazio del piano di gestione dei rifiuti. L'articolo 228 si applica quando uno Stato membro non ha dato piena esecuzione ad una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. L'articolo attribuisce alla Commissione il potere, dopo l'emanazione di due avvertimenti, di deferire lo Stato membro alla Corte una seconda volta e di chiedere che vengano inflitte ammende.
Nel giugno 2007, con una sentenza[2] pronunciata a seguito del ricorso della Commissione, la Corte di giustizia ha condannato l'Italia per l'assenza dei piani di gestione dei rifiuti di alcune regioni e provincie. I piani sono obbligatori ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti e della direttiva sui rifiuti pericolosi[3]. L'Italia ha successivamente adottato i piani di gestione dei rifiuti per tutte le regioni e provincie interessate, ad eccezione del Lazio. Le autorità italiane hanno informato la Commissione che sono stati adottati provvedimenti per l'adozione del piano del Lazio, ma finora senza risultati. La Commissione si accinge pertanto ad avviare la procedura di infrazione ai sensi dell'articolo 228.
Iter procedurale
L'articolo 226 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di procedere nei confronti di uno Stato membro che non adempie ai propri obblighi.
Se constata che la disciplina comunitaria è stata violata e che sussistono i presupposti per iniziare un procedimento di infrazione, la Commissione trasmette allo Stato membro in questione una diffida o lettera di "costituzione in mora" (prima fase del procedimento), in cui intima alle autorità del paese interessato di presentare le proprie osservazioni entro un termine stabilito, solitamente fissato a due mesi.
Sulla scorta della risposta o in assenza di una risposta dallo Stato membro in questione, la Commissione può decidere di trasmettere allo Stato un "parere motivato" (seconda fase del procedimento) in cui illustra in modo chiaro e univoco i motivi per cui ritiene che sussista una violazione del diritto comunitario e lo sollecita a conformarsi entro un determinato termine (di solito due mesi).
Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee. Se la Corte di giustizia accerta che il trattato è stato violato, lo Stato membro inadempiente è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi al diritto comunitario.
L'articolo 228 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di procedere nei confronti di uno Stato membro che non si sia conformato ad una precedente sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. A norma dell'articolo 228, la Commissione può chiedere alla Corte di infliggere sanzioni pecuniarie allo Stato membro interessato.
Le ultime statistiche generali sulle infrazioni sono disponibili sul sito:
http://ec.europa.eu/environment/law/index.htm
[1] Direttiva 2006/12/CE.
[2] Causa C-082/06.
[3] Direttiva 91/689/CEE.
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lunedì 5 maggio 2008
Bandane e globalizzazione
E questo sabato, eletto a capo della città della globalizzazione il conservatore Boris Johnson, abbiamo anche assistito al sorpasso dei Liberal-Democratici (che sono –e da un pezzo - molto più Democrats degli stessi Labour, per non parlare degli sbiaditissimi omografi nostrani) sui Laburisti.
La campagna elettorale è stata un po’ pazza. Sarebbe gustoso descrivervela nel dettaglio: contrariamente allo stereotipo “scandalo Profumo” era una gara a chi concubinasse (etero, omo, ambedue) di più.
Effetti della globalizzazione anche qui? Possibile.
Dubito però - come ho sentito dire da qualche mio amico leftie - che la globalizzazione, così come è concepita e praticata nel Regno Unito -nella fattispecie, in Inghilterra - abbia niente a che fare con il cambio di sindaco.
L’argomento era:
Livingstone ha avuto risultati scadenti su questo, e i Londinesi l'hanno rimpiazzato.
Che poi questo sia un segnale per il Labour in generale i cui leaders sono riusciti ad innalzare le tasse senza poter dimostrare un miglioramento visibile nei servizi (specialmente educazione e sanità), non ci piove.
Ma la globalizzazione come è stata attuata fino ad ora in Inghilterra ha portato ad un mercato del lavoro che è un piacere provarlo (opinione personalissima), disoccupazione praticamente solo volontaria, salari competitivi e generosi, indipendentemente dal genere o dall’etnia o dall’orientamento sessuale o dall'età della persona - questo sia per i ceti medi che per la working class, che ormai là sono i polacchi.
Azzardato rischiare paragoni impropri in un'ottica ideologica.
Certo è che Boris ha molto, ma molto più senso dell’humour di Alemanno (ed anche di Berlusconi). Intanto, è autoironico:
There is absolutely no one, apart from yourself, who can prevent you, in the middle of the night, from sneaking down to tidy up the edges of that hunk of cheese at the back of the fridge.
Ma l’autoironia, nel nostro ingessato italico commentario, langue.
Certo mi piacerebbe credere che non gli somigli troppo…Vedremo:
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lunedì 28 aprile 2008
giovedì 24 aprile 2008
Alla bandiera rossa. di Pier Paolo Pasolini
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martedì 15 aprile 2008
In morte della Repubblica
Scrivere a caldo serve a sfogarsi e il linguaggio può essere aspro, eccessivo, persino melodrammatico, ma la sostanza resta.
E la sostanza è che il Parlamento italiano uscito ieri dalle urne è un Parlamento composto esclusivamente da forze di destra e reazionarie: in questo Paese non lo si vedeva dal 1924 e non è un precedente felice.
Milioni di cittadini, grazie ad una legge elettorale su cui la Corte Costituzionale ha adombrato sospetti di illegittimità e che certo contravviene allo spirito (e alla lettera) della Carta (ma tra poco la Costituzione sarà un problema superato in perfetto spirito di condivisione), sono privi di voce, non rappresentati, senza strumenti effettivi se non la piazza per far valere le proprie opinioni, istanze, bisogni.
La responsabilità di tutto questo è di chi ha impedito la modifica alla legge elettorale brandendo il Vassallum, distrutto la coalizione di centrosinistra al grido “io ballo da solo” e provocato così la caduta del Governo, tutto non per la vittoria, ma per un miserabile incremento del 2%. Ha un nome e un cognome: Walter Veltroni.
Ad un Parlamento composto da nominati per fedeltà ai padroni dei partiti, di incompetenti yesmen/yeswomen, da colaninnoli, mariannine, mare coscialunga, ciarrapichi in camicia nera, non si può riconoscere alcuna legittimità, né formale, né politica, né morale.
Questo Parlamento non ci rappresenta.
Questo Parlamento non può mettere le mani sulla Costituzione.
La battaglia è appena cominciata.
[M]
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Grazie Walter...
Sei un grande, Walter!
Sei riuscito in pochi mesi a frantumare la maggioranza di governo di centrosinistra che nel 2006, seppur a fatica, era riuscita a sconfiggere il centrodestra.
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mercoledì 9 aprile 2008
Il relativismo ha battuto la storia. Le fregnacce la verità.
ADNKRONS di pochi istanti fa. ELEZIONI: BERLUSCONI, MAI FATTE E USATE LEGGI AD PERSONAM. Roma, 9 apr. - Nella precedente legislatura "non abbiamo fatto nessuna legge ad personam ed io non ne ho approfittato in nulla". Lo rivendica Silvio Berlusconi durante la registrazione della puntata di 'Omnibus', su La7, che andra' in onda domani.
E poi dicono che le partite di calcio non sono decise dagli episodi. Qui siamo di fronte ad una partita persa ingiustamente. Il risultato non è fedele a quanto si è visto in campo. Esigo la moviola! Lo so che gol è quando arbitro fischia ma porcona di quella maialona della storia di questi ultimi 15 anni, perdere così non mi va proprio. Lo so che non c'era la migliore rosa in campo, informutni, stress da campionato, la coppa, la champions tutto quello che volete ma almeno tenere il pareggio. Nella palla ovale c'è il terzo tempo, dove gli avversari si vogliono bene dopo essersi picchiati a dovere, in politica il terzo tempo lo faranno solo pd e pdl e per fortuna è la prima volta che non partecipare mi fa stare bene, ma oggi non possiamo concedere un terzo tempo a mr bugia! all'estero se c'è qualcosa che indigna l'opinione pubblica più di ogni altra cosa è sentire i politici mentire. La cosa li fa imbestialire e ai politici prima o poi gliele fanno pagare tutte. In Italia ciò è vietato, è concesso mentire ma soprattutto è concesso mentire in pubblico.
Ultimo annuncio: smettiamo di riconrrere sta fiaccola per cercare di spegnerla che tanto a chi riesce a spegnerla il più che gli regalano è un peluche di Mao in tanga con al collo gli anelli olimpici. Se dobbiamo spegnerla spegnamola una volta per tutte con un po di astuzia e poi dedichiamoci alle cose serie come il tibet libero e le bugie di mr B.
Enrico
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mercoledì 2 aprile 2008
No, non è un Pesce d'Aprile ma una bella notizia per i Diritti
Lussemburgo (fonte il Giornale) - Con una sentenza che segna una pietra miliare per i diritti del mondo gay in Europa, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha stabilito che, nell’ambito di un’unione solidale fra partner dello stesso sesso, uno di essi può aver diritto ad una pensione di vedovo concessa da un regime previdenziale di categoria.
La decisione dei giudici: I giudici di Lussemburgo sono stati chiamati ad esprimersi sul caso che contrappone il gay tedesco Tadao Maruko, compagno di un costumista teatrale deceduto nel 2005, all’ente previdenziale per i personale artistico dei teatri tedeschi, Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen. Per il Tribunale Ue tocca al "giudice nazionale verificare se, nell’ambito di un’unione solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della pensione per superstiti controversa".
La "discriminazione diretta" Il diniego di far fruire i partner di unione solidale della pensione per superstiti, proseguono i giudici, "costituisce una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale, se si ritiene che i coniugi superstiti e i partner di unione solidale superstiti si trovino in una posizione analoga per quanto concerne tale pensione". È dunque compito del Bayerisches Verwaltungsgericht München, il tribunale nazionale che ha seguito il caso, "verificare la predetta condizione", afferma la Corte.
Il caso in Tribunale Nel 2001 Maruko ha registrato un’unione solidale, ai sensi della legge tedesca, con un costumista teatrale che dal 1959 era iscritto Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen. Dopo la morte del compagno, Maruko ha chiesto di fruire di una pensione di vedovo, ma l’ente ha respinto tale richiesta in quanto lo statuto non prevedeva tale beneficio per i partner di unione solidale superstiti. È stato poi un tribunale di Monaco, Bayerisches Verwaltungsgericht München, che deve statuire sul ricorso proposto Maruko, ad adire alla Corte Ue per stabilire se il diniego di una pensione per superstiti ad un partner di unione solidale costituisca una discriminazione vietata dalla direttiva europea sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che mira a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.
Se avete voglia di leggervi la sentenza, è qui. Anticipo le conclusioni per i pigri
[B]
P.Q.M.
la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Una prestazione ai superstiti concessa nell’ambito di un regime previdenziale di categoria come quello gestito dalla Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen rientra nella sfera di applicazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
2) Il combinato disposto degli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa principale in base alla quale, dopo il decesso del partner con il quale ha contratto un’unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge superstite, mentre, nel diritto nazionale, l’unione solidale porrebbe le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto riguarda la detta prestazione ai superstiti. È compito del giudice a quo verificare se, nell’ambito di un’unione solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale di categoria gestito dalla Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
1° aprile 2008 (*)
«Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Prestazioni ai superstiti previste da un regime obbligatorio previdenziale di categoria – Nozione di “retribuzione”– Diniego di concessione per mancanza di matrimonio – Partner dello stesso sesso – Discriminazione fondata sull’orientamento sessuale»
Nel procedimento C‑267/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bayerisches Verwaltungsgericht München (Germania) con decisione 1° giugno 2006, pervenuta in cancelleria il 20 giugno 2006, nella causa tra
Tadao Maruko
e
Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts e L. Bay Larsen, presidenti di sezione, dai sigg. K. Schiemann, J. Makarczyk, P. Kūris, J. Klučka (relatore), A. Ó Caoimh, dalla sig.ra P. Lindh e dal sig. J.-C. Bonichot, giudici,
avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig. J. Swedenborg, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 19 giugno 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per il sig. Maruko, dagli avv.ti H. Graupner, R. Wintemute e M. Bruns, Rechtsanwälte;
– per la Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen, dalla sig.ra C. Draws e dal sig. P. Rammert, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti A. Bartosch e T. Grupp, Rechtsanwälte;
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, in qualità di agente;
– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di agente, assistita dal sig. T. Ward, barrister;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. J. Enegren e dalla sig.ra I. Kaufmann-Bühler, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 settembre 2007,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 1, 2, n. 2, lett. a) e b), sub i), nonché 3, nn. 1, lett. c), e 3, della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Maruko e la Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen (ente di previdenza dei lavoratori dei teatri tedeschi; in prosieguo: la «VddB») in merito al diniego di quest’ultima di riconoscergli una pensione di vedovo a titolo delle prestazioni ai superstiti previste dal regime previdenziale obbligatorio di categoria al quale era iscritto il suo partner, poi deceduto, con il quale aveva contratto un’unione solidale.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Il tredicesimo e il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 recitano:
«(13) La presente direttiva non si applica ai regimi di sicurezza sociale e di protezione sociale le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione, nell’accezione data a tale termine ai fini dell’applicazione dall’articolo 141 del trattato CE, e nemmeno ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dallo Stato allo scopo di dare accesso al lavoro o di salvaguardare posti di lavoro.
(…)
(22) La presente direttiva lascia impregiudicate le legislazioni nazionali in materia di stato civile e le prestazioni che ne derivano.
4 L’art. 1 della direttiva 2000/78 così dispone:
«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
5 Ai sensi dell’art. 2 della detta direttiva:
«1. Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; (...)
(…)».
6 L’art. 3 della stessa direttiva è formulato come segue:
«1. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(…)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;
(…)
3. La presente direttiva non si applica ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale.
(…)».
7 A norma dell’art. 18, primo comma, della direttiva 2000/78, gli Stati membri dovevano adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima entro il 2 dicembre 2003 o potevano affidare alle parti sociali il compito di mettere in atto tale direttiva per quanto riguarda le disposizioni che rientravano nella sfera dei contratti collettivi. Tuttavia, in tal caso, essi dovevano assicurarsi che, entro il 2 dicembre 2003, le parti sociali avessero stabilito mediante accordo le necessarie disposizioni, fermo restando che gli Stati membri dovevano prendere le misure necessarie per permettere loro di garantire in qualsiasi momento i risultati imposti dalla direttiva. Inoltre, essi dovevano informare immediatamente la Commissione delle Comunità europee delle dette disposizioni.
La normativa nazionale
La legge relativa all’unione solidale registrata
8 L’art. 1 della legge relativa all’unione solidale registrata (Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft) 16 febbraio 2001 (BGBl. 2001 I, pag. 266), come modificata dalla legge 15 dicembre 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 3396; in prosieguo: il «LPartG»), recita:
«1) Due persone dello stesso sesso costituiscono un’unione solidale quando dichiarano reciprocamente, personalmente e in presenza l’uno dell’altro che intendono fondare insieme un’unione solidale (partner di unione solidale). Le dichiarazioni non possono essere rese a condizione o a termine. Le dichiarazioni producono i loro effetti quando sono rese dinanzi all’autorità competente.
2) Un’unione solidale non può essere validamente costituita:
1. con una persona minore o coniugata o che ha già in atto un’unione solidale con una terza persona;
2. tra ascendenti e discendenti;
3. tra fratelli o sorelle germani, uterini o consaguinei;
4. quando al momento della costituzione dell’unione solidale i partner rifiutano di contrarre obblighi ai sensi dell’art. 2.
(…)».
9 L’art. 2 del LPartG dispone quanto segue:
«I partner di unione solidale sono tenuti a prestarsi reciprocamente soccorso e assistenza e si impegnano reciprocamente ad una comunione di vita. Essi assumono responsabilità l’uno nei confronti dell’altro».
10 Ai sensi dell’art. 5 della detta legge:
«I partner di unione solidale sono reciprocamente tenuti a contribuire adeguatamente ai bisogni di tale comunione con il loro lavoro e il loro patrimonio. Gli artt. 1360, seconda frase, 1360 a e 1360 b del codice civile nonché l’art. 16, secondo comma, si applicano per analogia».
11 L’art. 11, n. 1, della stessa legge recita:
«Salvo disposizione contraria, il partner di unione solidale è considerato come un familiare dell’altro partner».
La normativa relativa alle pensioni di vedova o di vedovo
12 Con il LPartG, il legislatore tedesco ha apportato alcune modifiche al libro VI del codice della previdenza sociale – Regime legale di assicurazione vecchiaia (Sozialgesetzbuch VI – Gesetzliche Rentenversicherung).
13 L’art. 46, figurante nel libro VI del detto codice, nella sua versione vigente a partire dal 1° gennaio 2005 (in prosieguo: il «codice della previdenza sociale»), così dispone:
«1) Le vedove o i vedovi non risposati hanno diritto, dopo il decesso del coniuge assicurato, ad una piccola pensione di vedova o di vedovo, a condizione che il coniuge assicurato abbia maturato la durata minima di assicurazione generalmente richiesta. Tale diritto è limitato a un periodo massimo di 24 mesi civili a decorrere dal mese successivo a quello del decesso dell’assicurato.
(…)
4) Resta inteso, per la determinazione del diritto ad una pensione di vedova o di vedovo, che la celebrazione di un’unione solidale è equiparata alla celebrazione di un matrimonio, che l’unione solidale è equiparata ad un matrimonio, che un partner superstite è equiparato ad una vedova ed a un vedovo e che un partner di unione solidale è equiparato a un coniuge. Allo scioglimento o alla dichiarazione di nullità di un nuovo matrimonio corrispondono rispettivamente la risoluzione o lo scioglimento di una nuova unione solidale».
14 Lo stesso libro VI contiene altre disposizioni simili concernenti l’equiparazione dell’unione solidale al matrimonio, in particolare gli artt. 47, n. 4, 90, n. 3, 107, n. 3, e 120 d), n. 1.
Il contratto collettivo dei teatri tedeschi
15 L’art. 1 del contratto collettivo dei teatri tedeschi (Tarifordnung für die deutschen Theater) 27 ottobre 1937 (Reichsarbeitsblatt 1937 VI, pag. 1080; in prosieguo: il «contratto collettivo»), recita:
«1) Ogni persona giuridica che esercisce nel Reich un teatro (impresario teatrale) è tenuta a sottoscrivere per il personale artistico occupato nella sua impresa teatrale un’assicurazione vecchiaia e superstiti, conformemente alle seguenti disposizioni, e a comunicare per iscritto a ciascun lavoratore facente parte del personale artistico l’assicurazione sottoscritta.
2) Di concerto con i Ministri del Reich interessati, il Ministro dell’Informazione e della Propaganda designa l’ente previdenziale e stabilisce le condizioni di assicurazione (statuto). Esso fissa anche la data a partire dalla quale l’assicurazione deve essere sottoscritta conformemente al presente contratto.
3) Ai sensi del presente contratto, si intende per personale artistico l’insieme delle persone che, in forza della legge sulla Camera della cultura del Reich e dei regolamenti di applicazione relativi a tale legge, sono obbligatoriamente iscritte alla Camera teatrale del Reich (sezione palcoscenico), in particolare: i registi, gli attori, i direttori d’orchestra, i direttori di scena, i consulenti artistici, i direttori di coro, i responsabili delle prove, gli ispettori, i suggeritori e le persone che occupano una posizione analoga, i responsabili tecnici (quali i capomacchinisti, gli scenografi, i costumisti e le persone che occupano una posizione analoga, nella misura in cui sono responsabili del loro settore), nonché i consulenti, i coristi, i ballerini e i parrucchieri».
16 Ai termini dell’art. 4 del contratto collettivo:
«I premi assicurativi sono per metà a carico dell’impresario teatrale e per metà a carico del lavoratore facente parte del personale artistico. L’impresario teatrale è tenuto a riversare i premi assicurativi all’ente assicuratore».
Lo statuto della VddB
17 Gli artt. 27, 32 e 34 dello statuto della VddB dispongono:
«Art. 27 – Natura della previdenza e condizioni generali
1) Gli eventi che danno diritto alla prestazione sono il verificarsi di una incapacità lavorativa o di un’invalidità, l’ammissione alla pensione anticipata, il compimento della normale età pensionabile e il decesso.
2) Dietro domanda, l’ente eroga (…) a titolo di prestazioni ai superstiti (…) una pensione di vedova (artt. 32 e 33), una pensione di vedovo (art. 34) (…) se, immediatamente prima del verificarsi dell’evento che dà diritto alla prestazione, l’assicurato era assicurato a titolo obbligatorio, volontario, o aveva continuato l’assicurazione, e se il periodo di attesa è rispettato (…).
(…)
Art. 32 – Pensione di vedova
1) Ha diritto ad una pensione di vedova la moglie dell’assicurato o del pensionato, se il matrimonio è continuato fino al giorno del decesso di quest’ultimo.
(…)
Art. 34 – Pensione di vedovo
1) Ha diritto a una pensione di vedovo il marito dell’assicurata o della pensionata, se il matrimonio è continuato fino al giorno del decesso di quest’ultima.
(…)».
18 L’art. 30, n. 5, dello stesso statuto stabilisce le modalità per determinare l’importo della pensione di vecchiaia sulla base della quale viene calcolata la prestazione ai superstiti.
Causa principale e questioni pregiudiziali
19 L’8 novembre 2001 il sig. Maruko ha costituito, in forza dell’art. 1 del LPartG nella sua versione iniziale, un’unione solidale con un costumista teatrale.
20 Quest’ultimo era iscritto alla VddB dal 1° settembre 1959 e ha continuato a versare i contributi a tale ente previdenziale a titolo volontario durante i periodi nel corso dei quali non vi è stato iscritto a titolo obbligatorio.
21 Il partner di unione solidale del sig. Maruko è deceduto il 12 gennaio 2005.
22 Con lettera datata 17 febbraio 2005 il sig. Maruko chiedeva il beneficio di una pensione di vedovo presso la VddB. Quest’ultima, con decisione 28 febbraio 2005, ha respinto la domanda in quanto il suo statuto non prevedeva tale beneficio per i partner di unione solidale superstiti.
23 Il sig. Maruko ha proposto ricorso dinanzi al giudice a quo. A suo avviso, il diniego opposto dalla VddB viola il principio della parità di trattamento, in quanto il legislatore tedesco, a partire dal 1° gennaio 2005, ha attuato una tale parità tra l’unione solidale e il matrimonio, introducendo in particolare l’art. 46, n. 4, nel codice della previdenza sociale. Il fatto di non accordare ad una persona, dopo il decesso del suo partner di unione solidale, il beneficio di prestazioni ai superstiti così come ad un coniuge superstite costituirebbe una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale della detta persona. Secondo il sig. Maruko, i partner di unione solidale sono trattati in modo meno favorevole dei coniugi, mentre, al pari di questi ultimi, essi sono tenuti a prestarsi soccorso e assistenza, si impegnano reciprocamente ad una comunione di vita e assumono responsabilità l’uno nei confronti dell’altro. Il regime patrimoniale dei partner di unione solidale sarebbe in Germania equivalente a quello dei coniugi.
24 Chiedendosi, in primo luogo, se il regime previdenziale gestito dalla VddB sia assimilabile ad un regime statale di sicurezza sociale ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2000/78 e se il detto regime si trovi al di fuori dell’ambito di applicazione della detta direttiva, il giudice a quo rileva che il fatto che l’iscrizione presso la VddB sia obbligatoria per legge e che nessuna concertazione relativa all’iscrizione di cui trattasi possa essere presa in considerazione in seno alle imprese teatrali depone a favore di tale assimilazione. Esso aggiunge tuttavia che, al di fuori dei periodi lavorati, il personale dei teatri ha la possibilità di continuare volontariamente ad essere iscritto al regime previdenziale controverso nella causa principale, che quest’ultimo è basato sul principio della capitalizzazione, che i contributi sono pagati per metà dalle imprese teatrali, da un lato, e dagli assicurati, dall’altro, e che la VddB gestisce e disciplina le sue attività autonomamente, senza l’intervento del legislatore federale.
25 Tenuto conto della struttura della VddB e dell’influenza decisiva esercitata dalle imprese teatrali e dagli assicurati sul suo funzionamento, il giudice a quo asserisce di essere incline a ritenere che detto ente previdenziale non gestisca un regime assimilabile a un regime statale di sicurezza sociale, ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2000/78.
26 Il giudice a quo si chiede, in secondo luogo, se la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale possa essere considerata come una «retribuzione», ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78, il che giustificherebbe un’applicazione di quest’ultima. Il giudice a quo asserisce che, in via di principio, alla luce della giurisprudenza della Corte le prestazioni ai superstiti rientrano nella sfera di applicazione di detta nozione di «retribuzione». A suo avviso, tale interpretazione non è inficiata dal fatto che la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale è versata non al lavoratore, bensì al suo coniuge superstite, poiché il diritto a tale prestazione costituisce un beneficio che trova la sua origine nell’iscrizione del lavoratore al regime previdenziale gestito dalla VddB, di modo che la detta prestazione è ottenuta dal coniuge superstite di quest’ultimo nel contesto del rapporto di lavoro tra il datore di lavoro e il detto lavoratore.
27 Il giudice a quo mira, in terzo luogo, a stabilire se il combinato disposto degli artt. 1 e 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 osti alle disposizioni di uno statuto come quello della VddB in base alle quali, dopo il decesso del suo partner di unione solidale, una persona non percepisce prestazioni ai superstiti equivalenti a quelle offerte al coniuge superstite, mentre, così come le persone coniugate, i partner di unione solidale hanno vissuto in seno ad una comunione fondata sull’assistenza e sull’aiuto reciproco, formalmente costituita per tutta la durata della vita.
28 Secondo il giudice a quo, qualora la presente causa rientri nella sfera di applicazione della direttiva 2000/78 e sussista una discriminazione, il sig. Maruko potrebbe invocare le disposizioni di tale direttiva.
29 Il giudice a quo aggiunge che, contrariamente alle coppie eterosessuali che possono contrarre matrimonio ed eventualmente beneficiare di una prestazione ai superstiti, l’assicurato e il ricorrente nella causa principale non potevano in nessun caso, dato il loro orientamento sessuale, soddisfare la condizione di matrimonio cui il regime previdenziale gestito dalla VddB subordina detta prestazione. Orbene, secondo il giudice a quo, il combinato disposto degli artt. 1 e 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 può ostare a che disposizioni, come quelle dello statuto della VddB, limitino il beneficio della detta prestazione ai coniugi superstiti.
30 Qualora il combinato disposto degli artt. 1 e 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 osti alle disposizioni di uno statuto come quello della VddB, il giudice a quo si chiede, in quarto luogo, se una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale sia autorizzata, alla luce del ventiduesimo ‘considerando’ di tale direttiva.
31 Esso rileva che questo ‘considerando’ non è stato riprodotto nel testo della detta direttiva. Esso si chiede se il ‘considerando’ in questione sia tale da restringere la sfera di applicazione della direttiva 2000/78. Il giudice a quo considera che, alla luce dell’importanza del principio comunitario della parità di trattamento, occorre non interpretare estensivamente i ‘considerando’ di tale direttiva. Esso chiede a questo proposito se, nella causa principale, il diniego della VddB di concedere una prestazione ai superstiti ad una persona il cui partner di unione solidale è deceduto costituisca una discriminazione autorizzata benché fondata sull’orientamento sessuale.
32 In quinto luogo, il giudice a quo mira ad appurare se, in forza della sentenza 17 maggio 1990, causa C‑262/88, Barber (Racc. pag. I‑1889), il beneficio delle prestazioni ai superstiti sia limitato ai periodi successivi al 17 maggio 1990. Esso asserisce che le disposizioni nazionali controverse nella causa principale rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE e che l’effetto diretto di tale articolo può essere invocato soltanto per le prestazioni dovute in base ai periodi lavorativi successivi al 17 maggio 1990. A questo proposito, esso cita la sentenza 28 settembre 1994, causa C‑200/91, Coloroll Pension Trustees (Racc. pag. I‑4389).
33 In questo contesto, il Bayerisches Verwaltungsgericht München ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un regime previdenziale obbligatorio di categoria – come nella fattispecie quello gestito dalla VddB – costituisca un regime assimilabile ad un regime statale ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2000/78 (…).
2) Se costituiscano una retribuzione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78 (...) le prestazioni ai superstiti in forma di assegno vedovile erogate da un ente previdenziale obbligatorio.
3) Se il combinato disposto degli artt. 1 e 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 (...) osti alle disposizioni dello statuto di un regime previdenziale integrativo del tipo di cui alla presente fattispecie, ai sensi delle quali il partner di unione solidale registrata non ha diritto a ricevere, alla morte del suo partner, alcuna prestazione ai superstiti analoga a quelle previste per i coniugi, malgrado il fatto che, come i coniugi, anche il partner di unione solidale viva in una comunione fondata sull’assistenza e sull’aiuto reciproco, formalmente costituita per tutta la durata della vita.
4) In caso di soluzione affermativa della questione precedente, se sia lecita una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, alla luce del ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 (...).
5) Se il beneficio delle prestazioni ai superstiti sia limitato ai periodi successivi al 17 maggio 1990 in base alla sentenza Barber [cit.]».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima, sulla seconda e sulla quarta questione
34 Con la prima, la seconda e la quarta questione, che vanno risolte congiuntamente, il giudice a quo chiede, in sostanza, se una prestazione ai superstiti concessa nell’ambito di un regime previdenziale di categoria come quello gestito dalla VddB rientri nella sfera di applicazione della direttiva 2000/78.
Osservazioni presentate alla Corte
35 Per quanto riguarda la prima e la seconda delle questioni sollevate, la VddB considera che il regime da essa gestito è un regime legale di previdenza sociale e che la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale non può essere considerata come una «retribuzione» ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78. Tale prestazione esulerebbe quindi dalla sfera di applicazione della detta direttiva.
36 A sostegno di tale tesi, la VddB sottolinea, in particolare, che essa è un ente di diritto pubblico facente parte dell’amministrazione federale e che il regime previdenziale controverso nella causa principale è un regime obbligatorio, fondato sulla legge. Essa aggiunge che il contratto collettivo ha valore di legge ed è stato integrato, con lo statuto della VddB, nel trattato di unificazione del 31 agosto 1990 e che l’obbligo di iscrizione vale per categorie di lavoratori definite in modo generale. La prestazione ai superstiti controversa nella causa principale sarebbe legata non direttamente ad un impiego determinato, ma a considerazioni generali di ordine sociale. Essa non dipenderebbe direttamente dai periodi lavorativi compiuti e il suo importo non sarebbe calcolato in relazione all’ultima restribuzione.
37 La Commissione considera, per contro, che la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale rientra nella sfera di applicazione della direttiva 2000/78 in quanto è concessa in base al rapporto di lavoro instaurato tra una persona e il suo datore di lavoro, rapporto da cui discende l’iscrizione obbligatoria del lavoratore presso la VddB. L’importo della detta prestazione sarebbe determinato in relazione alla durata del rapporto di assicurazione e ai contributi versati.
38 Per quanto riguarda la quarta questione sollevata, tanto il sig. Maruko quanto la Commissione sottolineano che il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 non è riprodotto in nessuno degli articoli di tale direttiva. Secondo il sig. Maruko, se il legislatore comunitario avesse voluto sottrarre alla sfera di applicazione della detta direttiva tutte le prestazioni legate allo stato civile, la formulazione di detto ‘considerando’ sarebbe stato oggetto di un’apposita disposizione nel testo della detta direttiva. Secondo la Commissione, lo stesso ‘considerando’ riflette soltanto la mancanza di competenza dell’Unione europea in materia di stato civile.
39 La VddB e il governo del Regno Unito considerano, in particolare, che il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 contiene un’esclusione chiara e generale e che esso fissa la sfera di applicazione di tale direttiva. Quest’ultima non si applicherebbe alle disposizioni del diritto nazionale relative allo stato civile né alle prestazioni che ne derivano, il che varrebbe per la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale.
Risposta della Corte
40 Dall’art. 3, nn. 1, lett. c), e 3, della direttiva 2000/78 risulta che quest’ultima si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico sia del settore privato, compresi gli enti pubblici, per quanto concerne, in particolare, le condizioni di retribuzione e che essa non si applica ai pagamenti di qualsiasi genere effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale.
41 La sfera di applicazione della direttiva 2000/78 deve intendersi, alla luce di dette disposizioni in combinato disposto con il tredicesimo ‘considerando’ della stessa direttiva, nel senso che non si estende ai regimi di sicurezza sociale e di protezione sociale le cui prestazioni non siano assimilate ad una retribuzione, nell’accezione data a tale termine ai fini dell’applicazione dell’art. 141 CE, e nemmeno ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dallo Stato allo scopo di dare accesso al lavoro o di salvaguardare posti di lavoro.
42 Occorre pertanto stabilire se una prestazione ai superstiti concessa in base a un regime previdenziale di categoria come quello gestito dalla VddB possa essere assimilata ad una «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE.
43 Tale articolo stabilisce che per retribuzione debbono intendersi il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.
44 Come la Corte ha già affermato (v. sentenze 6 ottobre 1993, causa C‑109/91, Ten Oever, Racc. pag. I‑4879, punto 8, e 28 settembre 1994, causa C‑7/93, Beune, Racc. pag. I‑4471, punto 21), la circostanza che talune prestazioni siano corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro non esclude che esse possano avere carattere di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE.
45 La Corte ha così riconosciuto che una pensione superstiti prevista da un regime pensionistico di categoria, creata con contratto collettivo, rientra nella sfera di applicazione di detto articolo. Essa ha precisato al riguardo che la circostanza che la suddetta pensione, per definizione, sia corrisposta non al lavoratore, ma al suo coniuge superstite, non è tale da infirmare questa interpretazione, in quanto tale prestazione è un vantaggio che trae origine dall’iscrizione al regime del coniuge del superstite, di modo che la pensione spetta a quest’ultimo nell’ambito del rapporto di lavoro tra il datore di lavoro e il suddetto coniuge e gli è corrisposta in conseguenza dell’attività lavorativa svolta da questo (v. sentenze Ten Oever, cit., punti 12 e 13; Coloroll Pension Trustees, cit., punto 18; 17 aprile 1997, causa C‑147/95, Evrenopoulos, Racc. pag. I‑2057, punto 22, e 9 ottobre 2001, causa C‑379/99, Menauer, Racc. pag. I‑7275, punto 18).
46 Peraltro, per valutare se una pensione di vecchiaia, in base alla quale è calcolata se del caso la prestazione ai superstiti come nella causa principale, rientri nella sfera di applicazione dell’art. 141 CE, la Corte ha precisato che, fra i criteri da essa adottati a seconda delle situazioni di cui è stata investita per qualificare un regime pensionistico, soltanto il criterio relativo alla constatazione che la pensione di vecchiaia è corrisposta al lavoratore in ragione del rapporto di lavoro che lo lega al suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell’impiego, desunto dalla lettera stessa del detto articolo, può avere carattere determinante (v., in tal senso, sentenze Beune, cit., punto 43; Evrenopoulos, cit., punto 19; 29 novembre 2001, causa C‑366/99, Griesmar, Racc. pag. I‑9383, punto 28; 12 settembre 2002, causa C‑351/00, Niemi, Racc. pag. I‑7007, punti 44 e 45, nonché 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02, Schönheit e Becker, Racc. pag. I‑12575, punto 56).
47 È vero che a tale criterio non si può attribuire carattere esclusivo, dato che le pensioni corrisposte dai regimi legali previdenziali possono, in tutto o in parte, tener conto della retribuzione dell’attività lavorativa (citate sentenze Beune, punto 44; Evrenopoulos, punto 20; Griesmar, punto 29; Niemi, punto 46, nonché Schönheit e Becker, punto 57).
48 Tuttavia, le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica, o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o hanno potuto avere un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale, non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori, se è direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e se il suo importo è calcolato in base all’ultima retribuzione (citate sentenze Beune, punto 45; Evrenopoulos, punto 21; Griesmar, punto 30; Niemi, punto 47, nonché Schönheit e Becker, punto 58).
49 Per quanto attiene al regime obbligatorio previdenziale di categoria gestito dalla VddB, si deve rilevare, in primo luogo, che esso trova la sua fonte in un contratto collettivo di lavoro, mirante, secondo gli elementi forniti dal giudice a quo, a costituire un supplemento alle prestazioni previdenziali dovute in forza della normativa nazionale di applicazione generale.
50 In secondo luogo, è pacifico che il detto regime è finanziato esclusivamente dai lavoratori e dai datori di lavoro del settore considerato, con esclusione di qualsiasi intervento finanziario pubblico.
51 In terzo luogo, dal fascicolo risulta che lo stesso regime è destinato, ai sensi dell’art. 1 del contratto collettivo, al personale artistico occupato in uno dei teatri eserciti in Germania.
52 Come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 70 delle sue conclusioni, perché il diritto alla prestazione ai superstiti sia riconosciuto, si richiede che il coniuge del beneficiario di tale prestazione sia stato iscritto alla VddB prima del suo decesso. Tale iscrizione concerne obbligatoriamente il personale artistico dipendente dai teatri tedeschi. Essa riguarda anche un certo numero di persone che decidono di iscriversi volontariamente al VddB, iscrizione possibile qualora le persone di cui trattasi possano provare di essere state in precedenza, per un certo numero di mesi, dipendenti da un teatro tedesco.
53 I detti iscritti a titolo obbligatorio e a titolo volontario formano quindi una categoria particolare di lavoratori.
54 Peraltro, quanto al criterio secondo il quale la pensione deve essere direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 30, n. 5, dello statuto della VddB, l’importo della pensione di vecchiaia sulla base della quale è calcolata la prestazione ai superstiti è determinato in relazione alla durata dell’iscrizione del lavoratore, soluzione questa che è una logica conseguenza della struttura del regime previdenziale di categoria di cui trattasi che comprende due tipi di iscrizione, come è stato sottolineato ai punti 52 e 53 della presente sentenza.
55 Per quanto concerne del pari l’importo della stessa pensione di vecchiaia, esso non è fissato dalla legge, ma, in applicazione dell’art. 30, n. 5, dello statuto della VddB, è calcolato sulla base dell’importo di tutti i contributi versati durante tutto il periodo di iscrizione dal lavoratore e ai quali si applica un fattore di rivalutazione.
56 Ne consegue – come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 72 delle sue conclusioni – che la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale dipende dal rapporto di lavoro del partner di unione solidale del sig. Maruko e che essa, di conseguenza, deve essere qualificata come «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE.
57 Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla qualità di ente pubblico della VddB (v., in tal senso, sentenza Evrenopoulos, cit., punti 16 e 23), né dal carattere obbligatorio dell’iscrizione al regime che dà diritto alla prestazione ai superstiti controversa nella causa principale (v., in tal senso, sentenza 25 maggio 2000, causa C‑50/99, Podesta, Racc. pag. I‑4039, punto 32).
58 Per quanto concerne la portata del ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78, in esso si afferma che la detta direttiva lascia impregiudicate le legislazioni nazionali in materia di stato civile e le prestazioni che ne derivano.
59 È vero che lo stato civile e le prestazioni che ne derivano costituiscono materie che rientrano nella competenza degli Stati membri e il diritto comunitario non pregiudica tale competenza. Tuttavia, occorre ricordare che gli Stati membri, nell’esercizio di detta competenza, devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative al principio di non discriminazione (v., per analogia, sentenze 16 maggio 2006, causa C‑372/04, Watts, Racc. pag. I‑4325, punto 92, e 19 aprile 2007, causa C‑444/05, Stamatelaki, Racc. pag. I‑3185, punto 23).
60 Poiché una prestazione ai superstiti come quella controversa nella causa principale è stata qualificata come «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e rientra nella sfera di applicazione della direttiva 2000/78, per i motivi esposti ai punti 49‑57 della presente sentenza il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 non può essere tale da rimettere in discussione l’applicazione di detta direttiva.
61 Di conseguenza, la prima, la seconda e la quarta questione devono essere risolte nel senso che una prestazione ai superstiti concessa nell’ambito di un regime previdenziale di categoria come quello gestito dalla VddB rientra nella sfera d’applicazione della direttiva 2000/78.
Sulla terza questione
62 Con la terza questione, il giudice a quo chiede se il combinato disposto degli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 osti ad una normativa come quella controversa nella causa principale in base alla quale, dopo il decesso del suo partner di unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge superstite, mentre, al pari dei coniugi, i partner di unione solidale sono vissuti in seno ad una comunione fondata sull’assistenza e sull’aiuto reciproco, formalmente costituita per tutta la durata della vita.
Osservazioni presentate alla Corte
63 Il sig. Maruko e la Commissione sostengono che il diniego di concedere la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale ai partner di unione solidale superstiti costituisce una discriminazione indiretta ai sensi della direttiva 2000/78, in quanto due persone dello stesso sesso non possono contrarre matrimonio in Germania e, pertanto, non possono beneficiare di detta prestazione il cui beneficio è riservato ai coniugi superstiti. A loro avviso, i coniugi e i partner di unione solidale si trovano in una situazione di diritto analoga che giustifica la concessione della detta prestazione ai partner superstiti.
64 Secondo la VddB, non vi è alcun obbligo di carattere costituzionale di trattare in modo identico, dal punto di vista del diritto del lavoro o della previdenza sociale, il matrimonio e l’unione solidale. Quest’ultima costituirebbe un istituto sui generis e un nuovo stato delle persone. Non sarebbe possibile dedurre dalla normativa tedesca un qualsivoglia obbligo di parità di trattamento dei partner di unione solidale e dei coniugi.
Risposta della Corte
65 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 2000/78 mira a contrastare, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, alcuni tipi di discriminazioni, tra le quali figura quella fondata sull’orientamento sessuale, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.
66 Ai termini dell’art. 2 della detta direttiva, si intende per «principio della parità di trattamento» l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’art. 1 della stessa direttiva. Ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’art. 1 di tale direttiva, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga. Il n. 2, lett. b), sub i), dello stesso art. 2 dispone che sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
67 Dalle informazioni contenute nella decisione di rinvio risulta che, a partire dal 2001, anno di entrata in vigore del LPartG, nella sua versione iniziale, la Repubblica federale di Germania ha adeguato il suo ordinamento giuridico per consentire alle persone dello stesso sesso di vivere in seno ad una comunione fondata sull’assistenza e sull’aiuto reciproco, formalmente costituita per tutta la durata della vita. Avendo scelto di non consentire a tali persone il matrimonio, che è rimasto riservato alle sole persone di sesso diverso, il detto Stato membro ha istituito per le persone dello stesso sesso un regime distinto, l’unione solidale, le cui condizioni sono state progressivamente equiparate a quelle applicabili al matrimonio.
68 Il giudice a quo rileva al riguardo che la legge 15 dicembre 2004 ha contribuito al ravvicinamento progressivo del regime istituito per l’unione solidale a quello applicabile al matrimonio. Con questa legge il legislatore tedesco ha apportato modifiche al libro VI del codice della previdenza sociale – Regime legale di assicurazione vecchiaia, aggiungendo in particolare un paragrafo 4 all’art. 46 figurante nel detto libro, dal quale risulta che l’unione solidale è equiparata al matrimonio per quanto concerne la pensione di vedova o di vedovo di cui a tale disposizione. Modifiche analoghe sono state apportate ad altre disposizioni dello stesso libro VI.
69 Il giudice a quo ritiene che, tenuto conto di tale ravvicinamento tra matrimonio e unione solidale, che esso considera come un’equiparazione progressiva e che risulta, a suo avviso, dal regime stabilito dal LPartG, in particolare dalle modifiche intervenute con la legge 15 dicembre 2004, l’unione solidale, senza essere identica al matrimonio, ponga le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto concerne la prestazione ai superstiti controversa nella causa principale.
70 Orbene, esso constata che il beneficio di tale prestazione ai superstiti è limitato, in base alle disposizioni dello statuto della VddB, ai soli coniugi superstiti ed è negato ai partner di unione solidale superstiti.
71 In questo caso, tali partner di unione solidale si vedono quindi trattati in modo meno favorevole rispetto ai coniugi superstiti per quanto riguarda il beneficio della detta prestazione ai superstiti.
72 Ammesso che il giudice a quo decida che i coniugi superstiti e i partner di unione solidale superstiti siano in una posizione analoga per quanto concerne questa stessa prestazione ai superstiti, una normativa come quella controversa nella causa principale deve di conseguenza essere considerata costitutiva di una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale, ai sensi degli artt. 1 e 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78.
73 Da quanto precede risulta che la terza questione dev’essere risolta nel senso che il combinato disposto degli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa principale in base alla quale, dopo il decesso del suo partner con il quale ha contratto un’unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge superstite, mentre, nel diritto nazionale, l’unione solidale porrebbe le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto riguarda la detta prestazione ai superstiti. È compito del giudice a quo verificare se il partner di unione solidale superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale di categoria gestito dalla VddB.
Sulla quinta questione
74 Con la quinta questione il giudice a quo chiede, nel caso in cui la Corte dovesse dichiarare che la direttiva 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa principale, se si debba limitare nel tempo il beneficio della prestazione ai superstiti controversa nella causa principale e in particolare ai periodi successivi al 17 maggio 1990 sulla base della citata giurisprudenza Barber.
Osservazioni presentate alla Corte
75 La VddB osserva che la causa che ha dato luogo alla citata sentenza Barber è diversa, in fatto e in diritto, dalla causa principale e che non può darsi alla direttiva 2000/78 un effetto retroattivo decidendo l’applicazione di tale direttiva ad una data anteriore alla data di scadenza del termine impartito agli Stati membri per recepirla.
76 La Commissione ritiene che la quinta questione non debba essere risolta. A suo parere, la causa che ha dato luogo alla citata sentenza Barber è diversa, in fatto e in diritto, dalla causa principale ed essa sottolinea che la direttiva 2000/78 non contiene alcuna disposizione di deroga al divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Essa precisa che, a differenza della causa principale, l’attenzione era stata attirata, nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Barber, sulle conseguenze finanziarie che avrebbe potuto avere una nuova interpretazione dell’art. 141 CE. Essa asserisce al riguardo che, poiché il LPartG è entrato in vigore soltanto il 1° agosto 2001 e il legislatore tedesco, a partire dal 1° gennaio 2005, ha attuato in materia di regime previdenziale una parità di trattamento tra unione solidale e matrimonio, la presa in considerazione di tale parità nei regimi previdenziali di categoria non pone questi ultimi in difficoltà finanziaria.
Risposta della Corte
77 Risulta dalla giurisprudenza che la Corte può decidere, in via eccezionale e tenendo conto dei gravi inconvenienti che la sua sentenza potrebbe provocare per il passato, di limitare la possibilità degli interessati di avvalersi dell’interpretazione di una disposizione fornita dalla Corte in via pregiudiziale. Siffatta limitazione può essere ammessa solo dalla Corte nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta (v., in particolare, sentenze Barber, cit., punto 41, e 6 marzo 2007, causa C‑292/04, Meilicke e a., Racc. pag. I‑1835, punto 36).
78 Non risulta dal fascicolo che l’equilibrio finanziario di un regime come quello gestito dalla VddB rischi di essere retroattivamente perturbato dalla mancanza di limitazione nel tempo degli effetti della presente sentenza.
79 Da quanto precede discende che la quinta questione dev’essere risolta nel senso che non si devono limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.
Sulle spese
80 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Una prestazione ai superstiti concessa nell’ambito di un regime previdenziale di categoria come quello gestito dalla Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen rientra nella sfera di applicazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
2) Il combinato disposto degli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 osta ad una normativa come quella controversa nella causa principale in base alla quale, dopo il decesso del partner con il quale ha contratto un’unione solidale, il partner superstite non percepisce una prestazione ai superstiti equivalente a quella concessa ad un coniuge superstite, mentre, nel diritto nazionale, l’unione solidale porrebbe le persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi per quanto riguarda la detta prestazione ai superstiti. È compito del giudice a quo verificare se, nell’ambito di un’unione solidale, il partner superstite sia in una posizione analoga a quella di un coniuge beneficiario della prestazione ai superstiti prevista dal regime previdenziale di categoria gestito dalla Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen.
Firme
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