Il Senato intende sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Cassazione se questa fosse chiamata a decidere sulla eventuale impugnazione del provvedimento della Corte di Appello di Milano che ha consentito la sospensione della nutrizione e idratazione artificiale nei confronti di Eluana Englaro, poiché rivendica il diritto di legiferare in materia.
Al di là della scempiaggine giuridica della richiesta (da notare che il provvedimento della Corte di Appello si basa su una sentenza della Cassazione che ha stabilito i principi a cui doveva attenersi sulla base di una rigorosa disamina delle norme costituzionali), colpisce l’assurdità di un Senato composto non da prescelti dal popolo per meriti e capacità, ma di raccomandati nominati dal principe con l’unico requisito del servilismo, che rivendica le proprie (presunte) prerogative contro i cittadini.
Un Senato che ha abdicato alla propria funzione, limitandosi ad essere un fedele esecutore della volontà del capo del governo e dei capi partito, senza un sussulto, nemmeno di fronte alle proposte più sconce e che tuttavia si rammenta di essere un potere dello Stato quando può usare violenza su una giovane donna inerme, protetta soltanto dall’amore infinito di un padre.
Infinito, perchè sa rinunciare a lei per salvarne la dignità e rispettarne le più intime convinzioni, nel rispetto della sua libertà di coscienza.
Davanti a un simile gesto la politica che ha assistito indifferente all’agonia di Welby e alla sofferenza di tante altre persone sconosciute che chiedevano soltanto rispetto, deve soltanto tacere e imparare cosa sia la dignità della propria funzione.
Ma come tutti i vili, forti coi deboli e deboli coi forti, pretende di esercitare il diritto di vita e di morte sulle nostre vite, anche se non sa neppure avere rispetto di sé.
Per quanto ancora vorremo sopportare l’arroganza di chi impone i propri opinabili principi quando a pagarne le conseguenze sono gli altri, di chi si lava la coscienza (sporca) sulla pelle altrui, dei servi che non tollerano che persone libere possano mostrarne la pochezza e la meschinità?
[M]
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4786&ID_sezione=&sezione=
venerdì 18 luglio 2008
IUS VITAE AC NECI
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venerdì 20 giugno 2008
petizione internazionale contro le discriminazioni
Toscana-Europa e QuiPSE lanciano una petizione internazionale contro le discriminazioni
Firenze capitale d'Europa dell'inclusione e della tolleranza
Firma la petizione su http://www.quipse.eu/index.php?option=com_joomlapetition&func=viewcategory&Itemid=&catid=1
Firenze capitale d'Europa dell'inclusione e della tolleranza
Gli eurodeputati Guido Sacconi e Michael Cashman chiedono alla Commissione europea di rispettare gli impegni. Appuntamento a Firenze sabato 21 alle 18.30 in Piazza Poggi (Lungarno Cellini)
Firenze (16.06.08) - Firenze capitale d'Europa dell'inclusione sociale e della tolleranza. Questo è l'obiettivo che gli organizzatori della manifestazione che sabato 21 giugno vedrà presenti a Firenze in Piazza Poggi (a margine della notte bianca) Michael Cashman, l’eurodeputato inglese Guido Sacconi e Francesca Chiavacci. Occasione: il lancio della petizione internazionale -promossa dal gruppo liberaldemocratico e da quello socialista al Parlamento Europeo- contro ogni discriminazioni per età, disabilità, credo religioso ed orientamento sessuale.
Obiettivo, impegnare la Commissione europea ad emanare la promessa e mai realizzata Direttiva in questione .
Ed anche Firenze vuole fare la sua parte.“Candidiamo la nostra città ad essere capitale dello sviluppo civile e dell'inclusione sociale; motore di una serie di iniziative volte a diffondere la cultura delle differenze e l'integrazione tra identità, culture, popoli e religioni diverse” ha dichiarato uno degli organizzatori, Giuliano Gasparotti.
L'appuntamento é per le 18.30 presso le ex Rime Rampanti, in piazza Poggi, sabato 21 giugno.
L'iniziativa "Tutti i colori dell'uguaglianza" Da Firenze all'Europa contro ogni discriminazione” è promossa da Toscana-Europa e QuiPSE (la sezione toscana del PSE) ed ha avuto l’adesione finora di PD, Italia dei Valori, ARCI, Ireos, ANPI, ed il patrocinio del Quartiere 1 .
Molte le adesioni, che vanno ben oltre il solo campo della sensibilità politica democratica e socialista. Da esponenti delle associazioni omosex del mondo LGBT (Alessio de Giorgi, Mirco Zanaboni, Roberta Vannucci) al mondo istituzionale (Daniela Lastri, Stefano Marmugi e Stefania Collesei) e politico (Andrea Barducci, Giacomo Billi, Michele Morrocchi), da quello economico (Luca Mantellassi) a quello accademico (i docenti universitari Attila Tanzi e Chiara Rapallini). Saranno presenti anche il segretario della CGIL fiorentina Mauro Fuso ed esponenti dell'ANPI.
Al completo, all'iniziativa, anche tutti i presidenti dei cinque Quartieri fiorentini.
Una grande mobilitazione, quindi, perché il presidente Barroso rispetti gli impegni presi nel 2004, all'indomani dell'incresciosa bocciatura di Buttiglione al Parlamento europeo. Impegni che ad oggi rimangono lettera morta, visto che nel progetto di Direttiva (la Direttiva Orizzontale) è prevista solo la discriminazione per i portatori di handicap.
Da Firenze e dall'Italia parte un segnale politico forte e corale affinché le istituzioni europee siano in prima linea nella battaglia per l'affermazione dei diritti dell'uomo e dei valori di diversità e tolleranza.
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lunedì 16 giugno 2008
SOS pillola del giorno dopo
http://www.lucacoscioni.it/sos_pillola_del_giorno_dopo
Silvio Viale:
NOTA SULLA CONTRACCEZIONE DI EMERGENZA PER I GIORNALISTI
“Leggo su alcuni quotidiani, a volte con tanto di schemi illustrativi allegati, che la contraccezione di emergenza agirebbe bloccando l’impianto in utero dell’ovulo fecondato. Non è così. La contraccezione di emergenza, più nota come “pillola del giorno dopo” (sarebbe meglio dell’ora dopo), non agisce sull’ovulo fecondato e tanto meno agisce impedendone l’impianto. Essa, come tutti i contraccettivi ormonali, agisce in fase pre e peri-ovulatoria impedendo la penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo. Ovviamente, se viene assunta in tempo, poiché l’efficacia dipende dalla distanza tra il rapporto e l’ovulazione.
Contrariamente a quanto molti credono, non si rimane incinta al momento del rapporto, ma nei giorni successivi, quando ci sarà l’ovulazione. Di solito, quando c’è l’ovulazione gli spermatozoi sono già lì in agguato. E’ in questo intervallo che agisce la contraccezione di emergenza, cioè un progestinico come il levonorgestrel.
La conseguenza è che l’efficacia diminuisce con il ritardo di assunzione passando dal 95 % a 12 ore a circa il 60 % a 72 ore, mantenendo un’efficacia minore fino a 120 ore. Cinque giorni è infatti la durata della finestra fertile, che sarebbe opportuno pubblicare più spesso.
Per quanto riguarda l’ipotesi teorica del concorso di altri meccanismi, le modificazioni evidenziate sull’endometrio non sono tali da impedire l’annidamento, che avviene 8-12 giorni dopo il rapporto, ma al contrario potrebbero addirittura favorirlo. Se la pillola viene assunto quando si è già formato l’ovulo fecondato, la contraccezione di emergenza è innocua e inefficace, non potendo più influire sul destino dell’ovulo fecondato.
Una dimostrazione indiretta viene dal fatto che dosi ripetute di levonorgestrel non aumentano l’efficacia e che per procurare l’aborto sono stati utilizzati farmaci antiprogestinici (Ru486), antiestrogeni (tamoxifene), antifolici (metotrexate) e prostaglandine, nelle fasi iniziali persino un siero anti-HCG, ma non estrogeni e, soprattutto, mai progestinici come il levonorgestrel.
Una dimostrazione diretta viene dagli studi sulle scimmie e sui topi, non potendo eseguirli per motivi etici sulle donne, i quali confermano l’assenza di efficacia sull’ovulo fecondato.
Le evidenze sono tali che, nel 2005, il Dipartimento di Salute Riproduttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scritto che “la contraccezione di emergenza con levonorgestrel ha dimostrato di prevenire l’ovulazione e di non avere alcun rilevabile effetto sull’endometrio (la mucosa uterina) o sui livelli di progesterone, quando somministrata dopo l’ovulazione”, escludendo quindi un effetto intercettivo su un eventuale ovulo fecondato.
Da un punto di vista medico la contraccezione di emergenza è classificata “senza limitazioni di uso” dall’OMS, che l’ha inserita nella lista dei farmaci essenziali. La sua efficacia è minore degli ordinari contraccettivi ormonali, per cui rimane un ripiego occasionale, ma l’unico in grado di ridurre il rischio di una gravidanza indesiderata.
Da un punto di politica sanitaria, deve essere assunta al più presto, possibilmente entro 12-24 ore dal rapporto considerato a rischio. Per questo motivo in buona parte dei paesi europei è stata abolita la necessità di ricetta, negli USA l’abolizione della ricetta nel 2006 è stata difesa addirittura dal Presidente Bush. Inoltre non è considerata abortiva da molti paesi sudamericani ove l’aborto è vietato.
In sintesi, si può affermare che la CE soddisfa pienamente tutti i criteri che caratterizzano un “prodotto da banco”: tossicità molto bassa, nessun rischio di sovra dosaggio, nessuna dipendenza, nessuna necessità di accertamenti medici, né di monitoraggio della terapia, non significative controindicazioni mediche, non teratogeno, facile identificazione del bisogno, semplice da usare, dosaggio preciso, nessuna interazione farmacologica di rilievo, nessun pericolo in caso di assunzione impropria e minime conseguenze in caso di uso ripetuto, o ravvicinato nel tempo. Non vi è quindi alcuna ragione per mantenere la ricetta.
In conclusione, ritengo scorretto che, per pigrizia o per scelta, si continui a riportare sui giornali che la contraccezione di emergenza agisca impedendo l’annidamento dell’ovulo fecondato in utero, pensando magari che, così, non sia più da considerare abortivo solo perché la gravidanza inizia con l’annidamento in utero. Mi auguro che su questi temi vi sia più attenzione, evitando di darvi rilievo solo quando ne parla il Papa, finendo per avllare le sue tesi su un embrione fantasma.”
Silvio Viale
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lunedì 26 maggio 2008
Un giudice a Roma?
Per chi crede che non sia necessario arrivare a Berlino per avere un giudice, segnaliamo e riportiamo il ricorso di un cittadino italiano alla Corte Costituzionale a proposito della legge elettorale, sottratta a qualsiasi sindacato di costituzionalità per via ordinaria.
Il ricorso sarà discusso il 9 luglio.
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE
dell’on. avv. Felice Carlo Besostri (C.F. BSS FCC 44D23 M172R), di Milano, cittadino elettore, iscritto alle liste elettorali del Comune di Milano (doc. 1), che si difende in proprio quale avvocato abilitato alle magistrature superiore, elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. GianMarco Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46
premesso
- che ha partecipato in proprio e quale difensore di altri soggetti ammessi ai giudizi di ammissibilità di referendum abrogativi parziali del DPR 30.03.1957 n. 361 e del D.Legislativo 20.12.1993 n. 533, di cui si allega quella in cui era presente in proprio (doc. 2);
- che i sopraddetti giudizi si sono conclusi con le sentenze nr. 15, 16 e 17 del 16 gennaio – 30 gennaio 2008;
- che la Corte Costituzionale non ha ritenuto di seguire la Bundesverfassungsgericht, che con la nota sentenza Beschluss 22.05.1963, 2BvC 3/62, BVerfGE16/130 ha ritenuto che anche nel procedimento di verifica elettorale (Wahlprüfungsverfahren), benché non previsto dalla legge, avesse la competenza ad esaminare la costituzionalità della legge elettorale, che era chiamata ad applicare su ricorso contro una decisione del Bundestag;
- che, infatti, la Corte ha statuito: “6. – Questa Corte ha escluso – ancora in tempi recenti ed in conformità ad una costante giurisprudenza – che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta (sentenze numeri 45, 46, 47 e 48 del 2005); «ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005)” (sentenza nr. 15/2008);
- e parimenti “6. – Questa Corte ha escluso – ancora in tempi recenti ed in conformità ad una costante giurisprudenza – che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta (sentenze numeri 45, 46, 47 e 48 del 2005); «ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005)” (sentenza nr. 16/2008);
- che, tuttavia, a fronte delle argomentate opinioni espresse da illustri costituzionalisti quali i professori Vittorio Angiolini, Massimo Luciani e Costantino Murgia, ha tuttavia incidentalmente lanciato un avvertimento sia nella sentenza n. 15 che nella 16 del 2008;
- che, infatti, si legge che “L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi” (sent. Nr. 15/2008) e che “L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento, sia pure a livello regionale, di una soglia minima di voti e/o di seggi” (sentenza nr. 16/2008);
- che per prendere le decisioni in merito alla legge elettorale tuttavia occorreva che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi” (sent. 15/2008) e che “ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi” (sent. 16/2008);
- che, confidando che sulla base di così autorevole opinione si sarebbe trovato un giudice a Berlino (rectius a Roma!), tre cittadini elettori, gli avv. Prof. Giuseppe Bozzi di Roma, Aldo Bozzi di Milano e Giuseppe Porqueddu di Brescia, hanno promosso un ricorso innanzi al TAR Lazio (doc. 3);
- che l’avv. Besostri, al pari dell’on. dr. Domenico Gallo, magistrato presso la Suprema Corte di Cassazione, ha deciso di intervenire ad adiuvandum nel ricorso r.g. 1616/2008, assegnato alla sezione II bis (doc. 4);
- che il ricorso si è concluso con la sentenza n. 1855/2008 del 27.02.2008 (doc. 5), che ineffabilmente ha statuito che per rispetto della autodichia del Parlamento non vi era competenza del giudice amministrativo, né di quello ordinario, bensì delle Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge elettorale di dubbia costituzionalità;
- che tale sentenza non ha potuto indicare né una norma regolamentare del Parlamento o del procedimento di verifica (sub regolamento parlamentare), né alcun precedente in cui si sia esaminato un ricorso di elettore prima delle elezioni contro i provvedimenti attuativi della legge elettorale, e non di liste non ammesse, di candidati non ammessi o non proclamati ovvero di elettori contro candidati proclamati;
- che la sentenza ha ignorato che non vi sono precedenti, che consentono di ritenere che le Giunte delle elezioni siano giudici che possono promuovere un giudizio incidentale di costituzionalità;
- che d’altra parte vi è il dubbio che la Giunta delle Elezioni possa essere considerato Giudice terzo in una questione che mette in discussione la maggioranza, di cui è stata espressa. Un giudice in causa propria ha l’obbligo di astenersi ai sensi dell’art. 51 cpc;
- che contro la sentenza del TAR Lazio i ricorrenti hanno interposto tempestivo appello (doc. 6) e l’avv. Besostri si è costituito (doc. 7), che altrettanto tempestivamente è stato deciso dal Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 1053/08 del 11-13 marzo 2008 (doc. 8);
- che tale sentenza ha ugualmente ritenuto inammissibile il ricorso in quanto la convocazione dei Comizi elettorali è atto inimpugnabile quale atto politico;
- che tale decisione ha comunque spazzato via la sentenza del TAR Lazio, aprendo, peraltro, un ben più grave problema: se l’atto di convocazione dei comizi è atto inimpugnabile, in quanto atto politico, lo stesso ben potrebbe convocare i comizi per data successiva al termine massimo previsto dall’art. 61, c. 1 Costituzione;
- che il problema si è posto con l’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1744/08 del 1 aprile 2008 per ricorso r.g. 2421/2008 (doc. 9), con la quale si è sospeso il provvedimento di diniego di registrazione/ammissione del simbolo della Democrazia Cristiana di Pino Pizza;
- che tale Ordinanza appare ineccepibile sia per la portata dell’art. 66 (Corte Costituzionale sent. 117/06), sia sotto il profilo della giurisdizione (CGA Ord. 218/2006);
- che il ventilato spostamento della data delle elezioni ha suscitato reazioni eccitate per violazione dell’art. 61 Cost.: se il decreto di convocazione dei comizi è atto politico, nessuna violazione dell’art. 61 Cost. potrebbe essere eccepita;
- che le decisioni della Magistratura amministrativa appaiono in contrasto con gli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che grazie all’art. 10, c. 1 e 117 c. 1 Cost. sono state incorporate nel nostro ordinamento costituzionale (Corte Costituzionale, sentenze nr. 348 e 349 del 24 ottobre 2007), oltre che degli artt. 24, 103, 111, 113 e 137 Cost.;
tutto ciò premesso
ritenuto
- che l’Italia è un paese con forma di governo parlamentare razionalizzato;
- che in Italia “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, c. 2 Cost.);
- che tutti i poteri dello Stato derivano dal popolo direttamente, come in Parlamento, o indirettamente quando sono eletti dal Parlamento (Capo dello Stato) o al Parlamento rispondono (Governo);
- che persino il potere/ordine indipendente (potere giudiziario - Magistratura) emette le sue sentenze in nome del popolo italiano;
- che l’espressione più alta della partecipazione è costituita dal procedimento elettorale;
- che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”(art. 67 Cost.) e, pertanto, se vuole rappresentare la nazione, il mandato gli deve essere conferito attraverso un procedimento elettorale conforme a Costituzione: è importante sottolineare che la rappresentanza della Nazione spetta ad ogni membro del Parlamento e non all’organo parlamentare. Alla stessa stregua la Nazione è rappresentata dal corpo elettorale e da ogni membro dello stesso;
- che l’esercizio della sovranità presuppone che la legge elettorale sia conforme alla Costituzione, altrimenti non sarebbe esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione;
- che il corpo elettorale, al pari del Parlamento, del Governo e del Capo dello Stato debba essere qualificato come organo costituzionale (Mauro Volpi in Diritto Pubblico Comparato, Giappichelli, Torino, 2007, pag. 369);
- che la sovranità è indivisibile e pertanto quella in capo al popolo appartiene al singolo elettore come appartenente al corpo elettorale;
- che l’art. 66 Cost. deve essere di stretta interpretazione, affinché l’autodichia del Parlamento non leda altre disposizioni costituzionali in particolare quelle dei diritti fondamentali, quali sono gli artt. 48, 49 e 51, nonché 24 della Cost.;
- che le disposizioni invocate a suffragio dell’estensione della competenza delle Giunte per le elezioni, quali l’art. 87 del D.P.R. 361/1957 e l’art. 27 del D.Lgs. 533/1993, per la loro natura e collocazione nella gerarchia delle fonti, inidonee ad interpretare/integrare l’art. 66 della Costituzione;
- che in particolare la situazione per la quale non vi sia un Giudice precostituito per legge competente ad esaminare un ricorso di cittadino elettore avverso, sia pure mediatamente attraverso l’impugnazione di un atto amministrativo, proposto prima delle elezioni al fine di poter esercitare il proprio diritto di voto in conformità alla Costituzione, costituisce lesione grave di principi elementari di ogni Stato di diritto e massimamente in un ordinamento di tipo parlamentare, quale è la Repubblica italiana;
tutto ciò premesso e ritenuto
l’on. avv. Felice C. Besostri promuove conflitto di attribuzione nei confronti dell’ordine giudiziario e del Parlamento, per affermare il proprio diritto costituzionale, quale componente dell’organo costituzionale “corpo elettorale”, di poterlo esercitare nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè di poter votare con una legge elettorale conforme a Costituzione e a tutela di questo diritto di poter avere un giudice precostituito per legge, che possa decidere del caso ovvero rimettere la questione alla Corte Costituzionale, unico organo competente a statuire sulla legittimità costituzionale della legge elettorale.
Allo stato abbiamo un conflitto di attribuzione negativo, in quanto la Magistratura si dichiara incompetente ed il Parlamento non ha mai affermato una tale competenza.
Nelle sentenze citate la magistratura amministrativa in primo grado ha risolto la questione come un problema di giurisdizione, ma affermando l’autodichia del Parlamento in realtà ha attribuito una competenza mai rivendicata e perciò in violazione dell’autodichia ha attribuito una competenza al Parlamento senza il suo consenso. L’autodichia si viola sia arrogandosi competenze del Parlamento, ma anche attribuendo al Parlamento competenze dallo stesso mai rivendicate e regolamentate.
In questa sede si sono volutamente tralasciate le questioni di merito costituzionale della legge elettorale vigente, che riguardano principalmente l’attribuzione del premio di maggioranza e le liste bloccate per violazione dell’art. 48, c. 2, sul voto uguale e gli artt. 56, c. 1 e 58, c. 1 sul voto diretto: i parlamentari eletti grazie al premio di maggioranza, non vincolati ad alcun quorum, non sono direttamente eletti bensì indirettamente da un meccanismo premiale incostituzionale.
Il ricorrente è consapevole della novità del presente ricorso, ma già la sua ammissibilità farebbe venir meno la violazione degli artt. 6 e 13 della C.E.D.U. con il rischio di una condanna, l’ennesima, dello Stato italiano.
L’ammissione di un ricorso individuale, sia pure limitatamente all’esercizio del proprio diritto ad un procedimento elettorale conforme a Costituzione, colmerebbe altresì la lacuna dell’inesistenza di un accesso diretto alla Corte Costituzionale.
Si pensi al fatto che sono stati ammessi simboli elettorali con la qualifica di “Presidente” accanto al nome del capo politico (art. 14 bis DPR 361/1957) della lista o della coalizione in spregio dell’art. 92 Cost. e delle conseguenti prerogative del Capo dello Stato, Presidente della Repubblica, senza che ci fosse una reazione a tale gravissimo fatto. In forza dell’orientamento della Magistratura l’organo competente a reagire sarebbero le Giunte delle Elezioni delle Camere elette, compresi i membri di quelle liste con contrassegno non conforme alla Costituzione.
Soltanto con l’ammissione si porrebbe rimedio ad una grave lacuna del nostro ordinamento, a prescindere dalla decisione di merito e si darebbe la possibilità alla Corte, come da essa auspicato, di poter essere investita nelle forme ordinarie del giudizio di costituzionalità della legge elettorale vigente, nonché di quella risultante dai quesiti referendari ammessi con le sentenze 15 e 16 del 2008.
In questa sede l’elettore rivendica l’attribuzione della funzione di esercizio del diritto di voto in modo conforme alla Costituzione. Nessun altro organo costituzionale o potere dello Stato può esercitare questa sua funzione né impedirgli di esercitarla in modo conforme alla Costituzione negando di diritto e di fatto l’accesso alla Corte Costituzionale attraverso la forma ordinaria di accesso, vale a dire quale questione incidentale nel corso di un giudizio instaurato.
Si producono i documenti partitamente citati dal nr. 1 al nr. 9:
1) certificato di iscrizione alle liste elettorali;
2) memoria Corte Costituzionale di “Per la Sinistra”;
3) ricorso TAR Lazio, sez. 2B, r.g. 1616/08 promosso dagli avv.ti Bozzi e Porqueddu;
4) intervento ad adiuvandum dell’on. avv. Felice C Besostri nel ricorso al TAR Lazio, sez. 2B, r.g. 1616/08;
5) sentenza TAR Lazio n. 1855/08;
6) Appello al Consiglio di Stato Bozzi e Porqueddu;
7) Memoria avv. Besostri innanzi al Consiglio di Stato
8) sentenza Cons. Stato n. 1053/08;
9) ordinanza Cons. Stato, sez V, n. 1744/08.
Con osservanza.
Milano/Roma, 7 aprile 2008
on. avv. Felice C. Besostri
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venerdì 9 maggio 2008
COCCODRILLI IN CAMICIA VERDE
Dopo l’omicidio di Verona abbiamo assistito al solito caravanserraglio di dichiarazioni, attribuzioni etc. Non poteva mancare il Sindaco della città, che ha invocato, anzi preteso, pene esemplari per quelli che ha definito come balordi, che nulla hanno a che fare con la politica. Ennò, signor sindaco, i “balordi” hanno molto a che fare con la politica, soprattutto con la politica di quelli come lei.
Si dà il caso che la Lega costruisca il suo messaggio politico sulla difesa strenua delle specificità locali, avulse e intoccabili dal mondo circostante, su un linguaggio e su azioni che se non si risolvono in pestaggi non sono per questo meno violente (ve lo ricordate Borghezio che derattizzava le nigeriane in treno?), su una visione tribale della società in cui rispetto e eticità dei comportamenti riguardano solo i componenti del clan, il resto è estraneo e nemico. Certo il Sindaco sostiene che, per esempio, non è vero che loro non vogliono gli immigrati, anzi li trattano benissimo se si integrano, ma a ben vedere non è il rispetto dell’umanità che li muove, ma la sapienza contadina per cui un animale da soma se è nutrito a dovere lavora di più e se non serve lo si manda al macello.
Ci stupiamo che in questo clima di vero relativismo etico (quello su cui la Chiesa non parla mai) in cui l’etica, cioè, è relativa all’appartenenza o no al clan, maturino certi fatti e atteggiamenti criminali?
D’altronde che chi non si adegua alle regole del clan debba essere punito il signor Sindaco non si è fatto scrupolo di dimostrarlo, ad esempio con il progetto di provvedimento che per l’iscrizione agli asili comunali attribuiva un punteggio dimezzato ai figli di separati rispetto a quelli di genitori non separati: un vero sopruso ai danni dei più indifesi e davvero un bell’esempio per la gioventù veronese! Se sono le istituzioni per prime a lanciare il messaggio che è lecito umiliare, offendere e angariare chi non ha per scelta o per necessità lo stile di vita “dominante” o è fuori dal clan, che cosa si può pretendere?
Pene severe lo diciamo anche noi, ma insieme ai cinque balordi, mettiamoci anche il Sindaco e quelli come lui e buttiamo la chiave!
http://progettoverona.wordpress.com/2008/05/08/asili-nido-a-verona-ce-posto-per-chi-il-dibattito/
martedì 6 maggio 2008
ATTICISMO MILITANTE
clicca sulle immagini per visualizzarle meglio
Stefano Disegni, dall'inserto satirico de L'Unità del 5 maggio
(e la sinistra fu...ma a me pare che gli atticisti fossero così da sempre).
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è la monnezza, bellezza!
Ci siamo, procediamo...
IP/08/705
Bruxelles, 6 maggio 2008
La Commissione procede contro l'Italia sulla gestione dei rifiuti in Campania e nel Lazio
La Commissione europea prosegue la sua azione a carico dell'Italia in due casi di violazione della legislazione UE sulla protezione della salute umana e dell'ambiente contro i rischi derivanti dai rifiuti. La Commissione si accinge ad adire la Corte di giustizia delle Comunità europee contro l'Italia in merito all'emergenza rifiuti a Napoli e in Campania. Si appresta inoltre a inviare all'Italia un primo avvertimento scritto per la mancata esecuzione nel Lazio della sentenza con cui la Corte di giustizia ha sancito che l'Italia è venuta meno all'obbligo di adottare piani regionali di gestione dei rifiuti. Nel secondo caso, se l'Italia non si conformerà, la Commissione ha il potere di chiedere alla Corte l'imposizione di ammende.
Il commissario per l'ambiente Stavros Dimas ha dichiarato al riguardo: "Le montagne di rifiuti non raccolti accumulatisi per le strade della Campania illustranno emblematicamente le minacce per l'ambiente e per la salute umana risultanti da una gestione inadeguata dei rifiuti. Occorre che l'Italia dia priorità all'elaborazione di piani efficienti di gestione dei rifiuti in Campania e nel Lazio, nonché alla realizzazione delle infrastrutture di raccolta e di trattamento necessarie per attuarli correttamente."
Il caso della Campania deferito alla Corte di giustizia
Il caso riguarda la drammatica emergenza rifiuti che ha colpito Napoli e la Campania. Nel corso della primavera 2007 i rifiuti non vennero raccolti per settimane, il che costrinse alla chiusura delle scuole per motivi sanitari e spinse gli abitanti frustrati a mettere fuoco ai sacchi di immondizia accumulatisi per le strade. I rifiuti non raccolti e i roghi hanno rappresentato una grave minaccia per la salute e per l'ambiente, a causa della propagazione di malattie e dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo. La Commissione ha di conseguenza avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia nel giugno dello scorso anno per violazione della direttiva quadro UE relativa ai rifiuti[1] (cfr. IP/07/935)
La situazione si è ripetuta nel dicembre 2007 e la Commissione ha reagito inviando un ultimo avvertimento il 1° febbraio 2008, dando all'Italia un mese di tempo per rispondere, data l'urgenza della crisi (cfr. IP/08/151). In febbraio la Commissione ha effettuato una missione di accertamento a Napoli e nelle zone circostanti. Agli inizi di marzo è pervenuta la risposta dell'Italia.
Anche se l'emergenza si è ridotta negli ultimi tempi, grazie alla rimozione dei rifiuti dalle strade seguita alla nomina di un nuovo Commissario di governo per l'emergenza rifiuti in Campania, la Commissione ritiene che le misure adottate non siano adeguate per risolvere nel lungo periodo il problema dei rifiuti nella regione e impedire il ripetersi dei fatti inaccettabili verificatisi lo scorso anno. Un nuovo piano di gestione dei rifiuti per la Campania è stato adottato alla fine del dicembre 2007, ma alla Commissione risulta che il precedente piano, adottato più di un decennio fa, non è stato mai correttamente attuato.
La Campania è lungi dal poter creare un sistema di gestione efficiente che consenta la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, le autorità italiane si sono rivelate incapaci di indicare un calendario chiaro per il completamento e la messa in servizio degli impianti di selezione, delle discariche, degli incineratori e delle altre infrastrutture necessarie per risolvere i problemi dei rifiuti che affliggono la regione.
La Commissione ha pertanto deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee per la mancata osservanza della direttiva quadro sui rifiuti. La direttiva impone, tra l'altro, agli Stati membri di assicurare che i rifiuti vengano raccolti o smaltiti senza pericolo per la salute umana, di vietare l'abbandono o lo smaltimento incontrollato dei rifiuti e di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento.
Per il Lazio manca il piano di gestione dei rifiuti
La Commissione si accinge a inviare all'Italia una prima lettera di avvertimento ai sensi dell'articolo 228 del trattato in merito alla mancata adozione da parte della Regione Lazio del piano di gestione dei rifiuti. L'articolo 228 si applica quando uno Stato membro non ha dato piena esecuzione ad una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. L'articolo attribuisce alla Commissione il potere, dopo l'emanazione di due avvertimenti, di deferire lo Stato membro alla Corte una seconda volta e di chiedere che vengano inflitte ammende.
Nel giugno 2007, con una sentenza[2] pronunciata a seguito del ricorso della Commissione, la Corte di giustizia ha condannato l'Italia per l'assenza dei piani di gestione dei rifiuti di alcune regioni e provincie. I piani sono obbligatori ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti e della direttiva sui rifiuti pericolosi[3]. L'Italia ha successivamente adottato i piani di gestione dei rifiuti per tutte le regioni e provincie interessate, ad eccezione del Lazio. Le autorità italiane hanno informato la Commissione che sono stati adottati provvedimenti per l'adozione del piano del Lazio, ma finora senza risultati. La Commissione si accinge pertanto ad avviare la procedura di infrazione ai sensi dell'articolo 228.
Iter procedurale
L'articolo 226 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di procedere nei confronti di uno Stato membro che non adempie ai propri obblighi.
Se constata che la disciplina comunitaria è stata violata e che sussistono i presupposti per iniziare un procedimento di infrazione, la Commissione trasmette allo Stato membro in questione una diffida o lettera di "costituzione in mora" (prima fase del procedimento), in cui intima alle autorità del paese interessato di presentare le proprie osservazioni entro un termine stabilito, solitamente fissato a due mesi.
Sulla scorta della risposta o in assenza di una risposta dallo Stato membro in questione, la Commissione può decidere di trasmettere allo Stato un "parere motivato" (seconda fase del procedimento) in cui illustra in modo chiaro e univoco i motivi per cui ritiene che sussista una violazione del diritto comunitario e lo sollecita a conformarsi entro un determinato termine (di solito due mesi).
Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee. Se la Corte di giustizia accerta che il trattato è stato violato, lo Stato membro inadempiente è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi al diritto comunitario.
L'articolo 228 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di procedere nei confronti di uno Stato membro che non si sia conformato ad una precedente sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. A norma dell'articolo 228, la Commissione può chiedere alla Corte di infliggere sanzioni pecuniarie allo Stato membro interessato.
Le ultime statistiche generali sulle infrazioni sono disponibili sul sito:
http://ec.europa.eu/environment/law/index.htm
[1] Direttiva 2006/12/CE.
[2] Causa C-082/06.
[3] Direttiva 91/689/CEE.
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lunedì 5 maggio 2008
Bandane e globalizzazione
E questo sabato, eletto a capo della città della globalizzazione il conservatore Boris Johnson, abbiamo anche assistito al sorpasso dei Liberal-Democratici (che sono –e da un pezzo - molto più Democrats degli stessi Labour, per non parlare degli sbiaditissimi omografi nostrani) sui Laburisti.
La campagna elettorale è stata un po’ pazza. Sarebbe gustoso descrivervela nel dettaglio: contrariamente allo stereotipo “scandalo Profumo” era una gara a chi concubinasse (etero, omo, ambedue) di più.
Effetti della globalizzazione anche qui? Possibile.
Dubito però - come ho sentito dire da qualche mio amico leftie - che la globalizzazione, così come è concepita e praticata nel Regno Unito -nella fattispecie, in Inghilterra - abbia niente a che fare con il cambio di sindaco.
L’argomento era:
Livingstone ha avuto risultati scadenti su questo, e i Londinesi l'hanno rimpiazzato.
Che poi questo sia un segnale per il Labour in generale i cui leaders sono riusciti ad innalzare le tasse senza poter dimostrare un miglioramento visibile nei servizi (specialmente educazione e sanità), non ci piove.
Ma la globalizzazione come è stata attuata fino ad ora in Inghilterra ha portato ad un mercato del lavoro che è un piacere provarlo (opinione personalissima), disoccupazione praticamente solo volontaria, salari competitivi e generosi, indipendentemente dal genere o dall’etnia o dall’orientamento sessuale o dall'età della persona - questo sia per i ceti medi che per la working class, che ormai là sono i polacchi.
Azzardato rischiare paragoni impropri in un'ottica ideologica.
Certo è che Boris ha molto, ma molto più senso dell’humour di Alemanno (ed anche di Berlusconi). Intanto, è autoironico:
There is absolutely no one, apart from yourself, who can prevent you, in the middle of the night, from sneaking down to tidy up the edges of that hunk of cheese at the back of the fridge.
Ma l’autoironia, nel nostro ingessato italico commentario, langue.
Certo mi piacerebbe credere che non gli somigli troppo…Vedremo:
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lunedì 28 aprile 2008
giovedì 24 aprile 2008
Alla bandiera rossa. di Pier Paolo Pasolini
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